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E se il lenocinio diventasse titolo di merito?

Il peso del ricatto

I nemici di Silvio puntano ai soldi più che al potere

di Davide Giacalone - 19 giugno 2009

I fatti sono d’infinita miseria. Che se ne debba parlare è umiliante. Ma non c’è nulla di casuale, come avvertimmo già dieci giorni fa: dal compleanno alla mondana con il registratore, dalle foto all’inchiesta giudiziaria, c’è chi conosceva anticipatamente le tappe ed ha costruito il ricatto. Già la sola esistenza del ricatto è cosa d’enorme gravità, obbligandoci a riflessioni amare. Non solo sui ricattatori.

La prendo alla lontana, ma serve a capire. Camillo Benso, conte di Cavour, primo presidente del Consiglio del regno italiano, perse la testa per una ballerina magiara (o prussiana, non si sa): Bianca, che di cognome faceva Ronzani perché sposata. Camillo fece avere soldi, del governo, al marito, poi ne diede, dei propri, anche a lei. Gliene diede anche il nipote del conte, per riavere, dopo la morte del congiunto, le lettere infuocate di passione. Lei accettò, ma siccome con certe vocazioni si nasce, alcune le aveva già vendute (e c’è chi sostiene che non sia stata estranea alla morte prematura). Furono ritrovate, a Vienna, sicché gli amici dello statista le distrussero. Così va il mondo. O, meglio, andava.

Oggi, invece, non si butta via nulla. Cerchiamo di non buttare neanche il cervello, però, e non abbocchiamo tutti alla messa in scena. Guardate i fotogrammi di questo film, fatelo in maniera fredda, senza passioni antiberlusconiane, ma senza nemmeno un grammo di benevolenza per il protagonista passivo. Vi pare possibile che si monti uno scandalo colossale sulla stupidata di una festa di compleanno? E vi pare possibile che si distribuiscano foto scandalistiche dove quello nudo è un ceco di nome Topolánek (un nome, un programma), che se ne sta con la sua compagna e che, del resto, fu già protagonista di uno scandalo rosa, avendo tradito la moglie, Topolánková (aridaje)? Ma neanche l’Eco della Parrocchia avrebbe osato montarci su una campagna moralistica! Invece è successo, perché chi ha indotto a muovere il primo passo sapeva delle tappe successive, quindi sapeva che la cosa non sarebbe morta subito, e nel ridicolo.

Non credo che si tratti della sinistra, politicamente intesa. E neppure dei giornali, intesi come redazioni. Quelli sono strumenti. Neanche troppo vispi: pensate al Corriere della Sera, che in una pagina pubblica il numero di telefono delle agenzie che forniscono puttane, ed in quella appresso si scandalizza perché qualcuno ha telefonato. Qui non ci sono segugi del giornalismo, perché altrimenti non avrebbero preso cantonate epocali, intervistato gente che poi si scusa, o pubblicato che una venditrice di prestazioni intime avrebbe voluto dei favori per i propri terreni, sui quali, a questo punto, può coltivare patate per l’eternità. No, questa è roba più sozza.

La vedo così: nel 1992 i partiti di governo raccoglievano più voti di qualsiasi altra coalizione li abbia succeduti, e furono fatti fuori con un colpo giudiziario. Ancora tutto da raccontare. Ci hanno provato e riprovato con Berlusconi, ma non ha funzionato. Se la cosa avesse una finalità prettamente politica, occorrerebbe lavorare per un’opposizione seria e vincente, puntando sulle debolezze (che non sono poche) del governo. Invece nessuno ha la minima fiducia in questa opposizione, neanche quelli che la guidano. La politica l’hanno prima ammazzata e poi seppellita.

La demolizione del capo del governo non serve tanto a prendere il suo posto, ma a far affari senza che nessuno si metta di traverso, a riprodurre la meravigliosa stagione del saccheggio, che con le maleprivatizzazioni mise in tasche private la gran parte del patrimonio industriale pubblico. Vorrei tanto sbagliarmi, ma se guardo all’energia, alla meccanica ed ai cantieri, vedo la ciccia che si vuol sbranare, e ganasce non solo italiane. Se guardo a chi possiede i grandi giornali, i conti mi tornano fin troppo.

Ci buttiamo tutti a difendere il governo, dunque? Calma. Mi sono abbondantemente rotto l’anima di vedere una squadra di superficiali occuparsi di cose serie. Le storie d’amore istituzionali non si contano più. E che diamine, ma non hanno altro da fare? Stiano attenti, perché l’etica pubblica ha le sue regole, che è giusto rispettare. Vale anche per il presidente: nessuno vuole ridurlo a frate trappista, che neanche noi ce ne sentiamo la benché minima vocazione, ma la funzione pubblica richiede costumi più morigerati, più consoni. Anche a me sta sul gozzo l’ipocrisia, ma questo non autorizza alla spontaneità disinibita.

L’ultima arrivata, alla ribalta della notorietà fondata sul materasso, è anche candidata alle elezioni. Bisogna che se ne rendano conto: è offensivo. Lo è per i cittadini chiamati a votare, lo è ancor di più per i militanti che si danno da fare con sincera passione (ce ne sono tanti), cui i potentati locali sbarrano la strada per evitare concorrenza reale. Alle politiche nazionali sono i partiti a scegliere gli eletti, e ne portano la responsabilità. Dove ci sono le preferenze tendono a svuotare le liste, in modo che i designati siano comunque eletti. Signori, con cordiale franchezza: fa schifo.

I moralisti senza morale lo fanno ancor di più, ma è triste il Paese in cui si debba scegliere in una classifica così organizzata. Il giustizialismo trinariciuto fece fuori molte persone per bene, che si dimisero all’arrivo dell’avviso di garanzia (quando non si ammazzarono). Il risultato è che oggi non ci si dimette neanche se condannati. Guardo con preoccupazione quel che succede, e non vorrei che il lenocinio divenisse titolo di merito.

Pubblicato da Libero di venerdì 19 giugno

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