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Sarebbero 250.000 le linee controllate

Il Paese delle intercettazioni

Pera e Casini reclamano chiarezza sulle telefonate dei parlamentari. E per i cittadini?

di Davide Giacalone - 02 agosto 2005

Gran vociare perché la procura di Milano avrebbe (ma loro smentiscono) intercettato dei parlamentari nel corso di indagini su faccende bancarie. Il presidente del Senato, Pera, reclama chiarezza e grida allo scandalo. A lui s’associa Casini. Ma insomma, dove erano i due presidenti nei mesi scorsi?

Qualche tempo fa Telecom Italia si vantava pubblicamente di avere realizzato un centro, grande, unico ed efficiente, per le intercettazioni telefoniche, affidandone la cura ad un ex carabiniere. Vi sembra una cosa normale? A me no, e men che meno mi sembrava normale che gli artefici del grande orecchio si facessero ritrarre in posa tronfia e felice. Ma i due presidenti non fiatarono. Si dirà: essi reagiscono quando sono violate prerogative parlamentari. E fanno male, perché dovrebbero reagire ogni volta che è messa in discussione la libertà dei cittadini.

Libertà, si badi bene, che non è pregiudicata dalle intercettazioni, ma da chi le fa e come le usa. Proprio in questi giorni è stato approvato il decreto legge relativo alla sicurezza, resosi necessario dopo gli attentati dell’estremismo islamico. In quell’insieme di misure è prevista la conservazione e rintracciabilità di sms ed e-mail. Vale a dire che le intercettazioni aumentano, l’intrusione si rende più efficiente. E’ un male? Proprio no, visto che quegli strumenti dovrebbero essere messi al servizio della nostra sicurezza collettiva e personale.

La questione è altra. Da una parte le intercettazioni dovrebbero sempre svolgersi sotto il controllo diretto e costante dell’autorità giudiziaria, e dato che le compagnie telefoniche sono, per forza di cose, compartecipi di quel lavoro si deve stabilire che il primo a permettersi di approfittarne personalmente, per quale che sia motivo, ad uso di quale che sia sicurezza interna, perde la concessione e finisce in galera. Dall’altra dovrebbe essere chiaro che le intercettazioni fatte per combattere il terrorismo non devono poi essere utilizzate per altri scopi, sia pure di giustizia. Insomma, la collettività può ben sopportare una maggiore intrusione, ma non deve per questo perdere libertà. E venendo ai parlamentari: se nel corso di intercettazioni telefoniche alla caccia di dinamitardi si scopre che una cellula di fanatici ha rapporti con un parlamentare, che si fa, si fermano le intercettazioni? no, credo si debba andare avanti, ma, come la legge prevede, non trascriverne il contenuto.

Il risultato delle intercettazioni, infine, non possiamo ritrovarcelo sui giornali, come è capitato proprio nel caso di quell’inchiesta milanese. Ed i responsabili della fuga di notizie, i responsabili di questo crimine, non possono restare sempre ignoti.

Queste cose dovrebbero essere scritte nelle leggi, e le leggi le fa il Parlamento. I presidenti dei due rami potrebbero utilmente dedicare le loro riflessioni a tali temi, anziché inalberarsi, giustamente, solo quando potrebbero essere messe in discussione delle sacrosante difese dei parlamentari.

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