Processo Pamuk: Turchia messa alla prova
Il nazionalismo che esclude l’Europa
Il fanatismo delle masse dei Paesi candidati è incompatibile con la cultura europeadi Antonio Picasso - 16 dicembre 2005
L’appuntamento è solo rimandato. Quello che la stampa ha considerato un vero test d’ingresso per la Turchia in Europa – vale a dire il processo al romanziere turco Ohran Pamuk – si è aperto oggi ed è stato subito rinviato al 7 febbraio 2006. La magistratura di Istanbul ha motivato la decisione spiegando di voler attendere l’autorizzazione del ministro della Giustizia per aprire il dibattimento. Intanto, da Ankara, il guardasigilli, Cemil Cicek, ha fatto sapere di non avere ancora preso visione del dossier riguardante la vicenda.
Pamuk è stato incolpato di aver “denigrato pubblicamente l’identità turca”, per i suoi scritti e per un’intervista rilasciata al settimanale svizzero Das Magazin, nella quale accusava il silenzio del governo turco in merito allo massacro di un milione di armeni, avvenuto nel 1915, e a quello successivo di trentamila curdi. Vilipendio alla nazione, questo il capo d’accusa rivolto allo scrittore. In pratica alto tradimento.
La scelta della proroga non fa altro che rinviare gli imbarazzi e le ritrosie del governo di Ankara ad affrontare i problemi correlati con la modernizzazione politica e culturale del Paese e, di conseguenza, mette in discussione il processo di integrazione con l’Europa.
Le regioni sud-orientali d’Europa, dai Balcani alla Turchia – quest’ultima solo in minima parte adagiata sulle sponde del Vecchio continente – sono ancora imbevute di un iper-nazionalismo del quale non riescono a svincolarsi. Si tratta di una situazione giuridica, ma soprattutto sociale e culturale, cementata nella mentalità collettiva di ogni Paese. Per i popoli balcanici e per i turchi, infatti, la superiorità ideologica della propria nazione non può essere messa in discussione. Un atteggiamento dogmatico, questo, che nega l’autocritica e la libertà di espressione e impone una censura riconosciuta e legittimata a livello popolare. La perfezione e la superiorità della nazione turca risultano dialetticamente intoccabili. Lo stesso discorso vale per la Croazia, lo si è visto con le proteste che sono seguite all’arresto di Ante Gotovina, accusato dal Tribunale internazionale dell’Aja di crimini contro l’umanità, perpetrati durante la guerra in Jugoslavia. Né Ankara né Zagabria ammettono gli errori da loro commessi nel passato più recente, oppure in quello remoto. Anzi. Sono disposte ad autocensurarsi e a mettere sotto accusa i propri intellettuali, pur di non scendere a compromessi con la storia.
A questo punto, risulta difficile capire cosa sia più grave, se il rifiuto da parte delle istituzioni di accettare i principi di libertà e democrazia, come valori fondamentali del proprio apparato giuridico, oppure la netta opposizione a questi da parte del popolo, che organizza, a seconda dei casi, manifestazioni pro Gotovina a Zagabria e contro Pamuk a Istanbul. Perché la legge si può cambiare. È necessario, ovviamente, un iter procedurale specifico. Ma questo, che è definibile in senso temporale, presenta un percorso compiuto. Il cambiamento della mentalità di un popolo, invece, è un’operazione più complessa e assolutamente indefinibile da un punto di vista temporale.
E se il popolo turco non accetta la critica e anzi si autocensura, significa che non riesce a far suoi i principi ispiratori dell’Unione europea.
Ecco perché il processo a Pamuk è una cartina tornasole dei sentimenti collettivi della Turchia.
L’Occidente spera di fare della Penisola anatolica la banchina di approdo della democrazia, della libertà politica e di quella economica verso l’Islam moderato. Tuttavia, se le reazioni del Paese sono queste, forse è necessario una revisione del processo di aggregazione. Nessuno esclude che tra Bruxelles e Ankara si possa instaurare un rapporto di partnership commerciale aperto e amichevole. Ma forse con la Turchia, come con alcuni i Paesi balcanici, sarà necessario congelare il dialogo politico, rinviando a data da stabilirsi il processo di integrazione.
Pamuk è stato incolpato di aver “denigrato pubblicamente l’identità turca”, per i suoi scritti e per un’intervista rilasciata al settimanale svizzero Das Magazin, nella quale accusava il silenzio del governo turco in merito allo massacro di un milione di armeni, avvenuto nel 1915, e a quello successivo di trentamila curdi. Vilipendio alla nazione, questo il capo d’accusa rivolto allo scrittore. In pratica alto tradimento.
La scelta della proroga non fa altro che rinviare gli imbarazzi e le ritrosie del governo di Ankara ad affrontare i problemi correlati con la modernizzazione politica e culturale del Paese e, di conseguenza, mette in discussione il processo di integrazione con l’Europa.
Le regioni sud-orientali d’Europa, dai Balcani alla Turchia – quest’ultima solo in minima parte adagiata sulle sponde del Vecchio continente – sono ancora imbevute di un iper-nazionalismo del quale non riescono a svincolarsi. Si tratta di una situazione giuridica, ma soprattutto sociale e culturale, cementata nella mentalità collettiva di ogni Paese. Per i popoli balcanici e per i turchi, infatti, la superiorità ideologica della propria nazione non può essere messa in discussione. Un atteggiamento dogmatico, questo, che nega l’autocritica e la libertà di espressione e impone una censura riconosciuta e legittimata a livello popolare. La perfezione e la superiorità della nazione turca risultano dialetticamente intoccabili. Lo stesso discorso vale per la Croazia, lo si è visto con le proteste che sono seguite all’arresto di Ante Gotovina, accusato dal Tribunale internazionale dell’Aja di crimini contro l’umanità, perpetrati durante la guerra in Jugoslavia. Né Ankara né Zagabria ammettono gli errori da loro commessi nel passato più recente, oppure in quello remoto. Anzi. Sono disposte ad autocensurarsi e a mettere sotto accusa i propri intellettuali, pur di non scendere a compromessi con la storia.
A questo punto, risulta difficile capire cosa sia più grave, se il rifiuto da parte delle istituzioni di accettare i principi di libertà e democrazia, come valori fondamentali del proprio apparato giuridico, oppure la netta opposizione a questi da parte del popolo, che organizza, a seconda dei casi, manifestazioni pro Gotovina a Zagabria e contro Pamuk a Istanbul. Perché la legge si può cambiare. È necessario, ovviamente, un iter procedurale specifico. Ma questo, che è definibile in senso temporale, presenta un percorso compiuto. Il cambiamento della mentalità di un popolo, invece, è un’operazione più complessa e assolutamente indefinibile da un punto di vista temporale.
E se il popolo turco non accetta la critica e anzi si autocensura, significa che non riesce a far suoi i principi ispiratori dell’Unione europea.
Ecco perché il processo a Pamuk è una cartina tornasole dei sentimenti collettivi della Turchia.
L’Occidente spera di fare della Penisola anatolica la banchina di approdo della democrazia, della libertà politica e di quella economica verso l’Islam moderato. Tuttavia, se le reazioni del Paese sono queste, forse è necessario una revisione del processo di aggregazione. Nessuno esclude che tra Bruxelles e Ankara si possa instaurare un rapporto di partnership commerciale aperto e amichevole. Ma forse con la Turchia, come con alcuni i Paesi balcanici, sarà necessario congelare il dialogo politico, rinviando a data da stabilirsi il processo di integrazione.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.