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Public Policy

Rilanciare l’Italia delle “grandi opere”

IL modello Catalyst

Uno strumento per costruire subito autostrade, acquedotti e restaurare il patrimonio artistico

di Vincenzo Sabatino - 09 aprile 2008

Per gli economisti di Catalyst la strada delle opere pubbliche passa attraverso progetti e agen-zie di scopo che sappiano trasformare quelli che una volta erano i costosi, lenti, macchinosi in-terventi dello Stato in azioni concepite al servizio del pubblico. Lo si ottiene ragionando su un intervento-locomotiva che raduni attorno a sé altri soggetti e interessi dei cittadini. Potrebbe valere per lo Stretto di Messina, per la monnezza partenopea, per l’Alitalia agonizzante.

In Italia, per troppo tempo si è inteso per opera pubblica un’opera in cui non solo la finalità era pubblica, ma anche il costo totale e le garanzie sulla realizzazione. Lo Stato si assumeva tutti e quattro i rischi che caratterizzano la realizzazione di qualsiasi investimento: finanziario, imprendito-riale, gestionale-organizzativo e di mercato. La logica tradizionale: opera pubblica e finanziamento pubblico, è oggi sempre meno percorribile. Le esigenze di investimenti in infrastrutture sono diven-tate eccessive rispetto alle possibilità dei governi di provvedervi. L’elevato debito pubblico compor-ta forti vincoli allo sviluppo di progetti e di investimenti in infrastrutture. Tutto ciò mentre una mi-gliore dotazione di infrastrutture diventa essenziale per accrescere la competitività delle economie nazionali.

Le recenti iniziative legislative in materia di infrastrutture presentano numerosi tratti innovativi che ruotano attorno alla strategica “idea di opera pubblica” intesa non come “idea di opera fatta dalla mano pubblica”, ma più modernamente come “idea di opera fatta al servizio del pubblico”. Tuttavia anche nelle più recenti proposte è insufficiente l’attenzione riservata ai meccanismi finanziari di mercato in grado di mobilitare le ingenti risorse necessarie per sostenere lo sviluppo degli investi-menti infrastrutturali. E’ necessario procedere verso nuove tendenze nella progettazione e realizza-zione di opere pubbliche. Vanno ricercate di volta in volta soluzioni tecnico-finanziarie più idonee a orientare il risparmio privato ed energie manageriali verso opere di pubblico interesse. Ma chi sono i soggetti interessati al cambiamento? Le imprese di costruzione che operano in un mercato in crisi; le società di ingegneria; le banche che cercano nuove forme di impiego; i cittadini che vogliono ser-vizi di qualità europea, nuove possibilità di sviluppo economico e maggiori opportunità di investi-mento e di democrazia economica.

Che cos’è il “Project Finance”
Da qualche hanno a questa parte, il Project Finance sembra essere l’unica proposta finanziaria valida per realizzare opere pubbliche. Spesso viene visto come la soluzione a tutti i mali. Ma è davvero così? Il primo obiettivo che ci poniamo è quello di illustrare brevemente come fun-ziona. Il secondo è quello di andare alla ricerca di proposte alternative e di effettuare un confronto fra i diversi modelli. Il Project Finance è una tecnica di finanza aziendale utilizzata per i grandi progetti in genere. I sog-getti principali partecipanti ad un Project Finance sono: i promotori, le società veicolo e le banche. Nell’ambito dei progetti di interesse pubblico, anche se gestione e finanziamento sono affidati a pri-vati, la pianificazione delle opere pubbliche resta di competenza della Pubblica Amministrazione. L’attività operativa (realizzazione e gestione dell’opera) che rappresenta il core business dell’iniziativa può essere realizzata dalla “società veicolo” direttamente o indirettamente. In questo secondo caso svolge una funzione di coordinamento delle prestazioni di altri soggetti. L’attività è completamente esternalizzata e la società veicolo si configura come un General Contractor. La so-cietà veicolo è il soggetto debitore nelle operazioni di Project Finance. Le banche svolgono un tri-plice ruolo di: consulenti finanziari, organizzatori del prestito e finanziatori del progetto.

Un’operazione di Project Finance può essere scomposta in tre fasi:
a) progettazione. E’ la fase più complessa e lunga in quanto una banca provvede alla verifica tecni-ca, economica e finanziaria nonché alla strutturazione giuridica del progetto;
b) costruzione dell’opera;
c) gestione delle opere realizzate. Questa fase è quella in cui hanno luogo i rientri economici e il rimborso dei finanziamenti.
I rischi e le garanzie sono l’altro elemento essenziale di un Project Finance. L’insieme degli accordi con i quali viene realizzata la ripartizione dei rischi associati a un progetto costituisce il Security Package. Esso è la risultante di tutte le garanzie, reali o contrattuali, negoziate prima dell’erogazione dei finanziamenti e di tutte le garanzie di rivalsa poste a carico dei soci o di terzi. Il Security Package regola e protegge il progetto. La costruzione di un soddisfacente Security Package è un lavoro lungo e difficile. Il Project Finance sembra essere la Best Practice finanziaria mediante la quale realizzare grandi progetti. In realtà esso presenta punti deboli e svantaggi non del tutto trascurabili.

Innanzitutto, quando è possibile il ricorso al Project Finance? Le iniziative devono essere par-ticolarmente rilevanti per dimensione finanziaria; i promotori devono essere affidabili e con serie competenze tecniche; domanda e prezzi e quindi ricavi devono essere prevedibili ed ele-vati. Gli svantaggi del Project Finance sono:
a) il costo di finanziamento di un’operazione di Project Finance è più elevato rispetto a quello di un tradizionale finanziamento bancario di pari importo (maggiori costi legali, tecnici e finanziari); b) una forte interferenza delle banche il cui controllo del progetto è molto forte e ciò limita le capacità imprenditoriali, tecniche e di organizzazione dei promotori;
c) la Pubblica Amministrazione che interviene nell’affidamento in concessione di un servizio pubblico e nella concessione delle autorizzazioni;
d) l’inesistenza di intermediari professionali che supportino strumenti finanziari che abbiano come valore sottostante opere realizzate con il progetto. Inoltre, nel Project Finance si conser-va sempre una formula di sostegno pubblico in termini di: apporto di capitale sociale alla so-cietà veicolo; contributo a fondo perduto; pagamento di una parte del prezzo unitario del prodotto/servizio per abbassare il carico per ogni utente; acquisto di un certo numero di pre-stazioni annue al fine di garantire il break even dell’operazione. In conclusione il Project Fi-nance non risolve nel breve periodo il problema della dotazione di infrastrutture.

Un’alternativa efficace
Esistono forme più efficaci e alternative per finanziare le infrastrutture che non gravino sulla spesa dello Stato o sugli enti locali? A tale scopo riteniamo opportuno segnalare un business method, elaborato da un gruppo di ricerca-tori del ramo economico di Milano riuniti sotto il marchio Catalyst, che si basa su quattro concetti portanti: Marketing Infrastrutturale, Agenzie di scopo, Aziende di Scopo e Fondi di Investimento Mobiliare di Scopo.

Marketing infrastrutturale. E’ lo strumento che permette di creare un mercato attorno all’infrastruttura in quanto essa viene concepita come locomotiva di numerose altre attività. L’infrastruttura deve essere progettata con l’intento di far nascere un indotto - il cui sviluppo richie-de solo incrementi marginali di investimento - in grado di generare quei ritorni finanziari necessari a sostenere il reddito degli investitori e la sopravvivenza dell’infrastruttura stessa. Per esempio, ipo-tizzando di dover realizzare un parcheggio di interscambio tra mezzi privati e mezzi pubblici in una zona periferica di una grande città come Milano, occorrerebbe progettare uno sviluppo dell’investimento infrastrutturale che oltre al parcheggio possa ospitare anche altre attività produtti-ve di servizio e di residenza da gestire come business separati.

Agenzia di Scopo. E’ l’organo che individua il bisogno infrastrutturale dei cittadini, lo scopo, e svolge il ruolo di far convergere sullo scopo tutti gli stakeholders, ossia tutti i soggetti interessati al raggiungimento del medesimo: enti pubblici e privati finanziatori/investitori, imprese, cittadi-ni/risparmiatori. E’ la struttura del modello in cui si attua la concertazione fra le diverse categorie di soggetti interessati alla realizzazione dell’opera mediante l’applicazione di principi e di metodi ben definiti e già sviluppati da Catalyst. Le Agenzie di Scopo sono i propulsori, sostenuti sotto il profilo decisionale e finanziario dai citta-dini i quali possono decidere di chiuderle se non promuovono le iniziative per cui sono state attiva-te. In esse confluisce anche “l’audience ownership” dell’intero progetto infrastrutturale. In qualità di organo collegiale di “aggregazione/compensazione” degli interessi e dei bisogni sia pubblici che privati, è preferibile che l’Agenzia di Scopo assuma la funzione di promozione e di controllo della infrastruttura più che la sua gestione. La forma giuridica può essere la più diversa anche se quella dell’associazione è la più adatta a convogliare tutte le istanze legate all’infrastruttura e a dirigere, mediante linee guida, l’operato delle Aziende di Scopo che hanno il compito di realizzare lo svilup-po dei business infrastrutturali principali e secondari.

Le Aziende di Scopo sono società che operano in un contesto di libero mercato con il vincolo di ga-rantire il sostegno gestionale e finanziario all’infrastruttura locomotiva. Ogni Azienda di Scopo ge-stisce un business autonomo legato all’infrastruttura. Per esempio, la costruzione e la gestione di un ospedale di estremo interesse per i cittadini di una comunità può essere immaginata e promossa da un’Agenzia di Scopo, appositamente costituita, che organizza l’operazione attraverso la creazione di Aziende di Scopo. Queste sono destinate a essere titolari della gestione dei diritti sugli immobili (re-al estate), della gestione e dei diritti su attrezzature e impianti ospedalieri (società tecnologica), del-la gestione dell’attività alberghiera, della gestione dell’attività ospedaliera tipica. In più, una volta che le Aziende di Scopo avranno soddisfatto il vincolo di garantire il sostegno gestionale e finanzia-rio all’attività ospedaliera, potranno servire il resto del mercato in piena concorrenza con altri sog-getti che gestiscono analoghi business o svilupparne di ulteriori. Fondi di Investimento di Scopo. Consentono ai cittadini di investire direttamente nell’infrastruttura attraverso fondi di investimento specifici che destinano una quota prescelta del capitale investito dal risparmiatore nelle Aziende di Scopo. Il sistema, in pratica, porta la gestione e anche la proprietà delle infrastrutture realizzate nelle mani di Aziende di Scopo possedute dalle famiglie attraverso i “fondi di investimento mobiliare di scopo” sottoscritti (fig.1). Il meccanismo operativo del sistema garantisce, anche per l’immediato, un normale rendimento del risparmio. Infatti i Fondi di Investi-mento di Scopo investono solo una quota marginale, prefissata, nelle Aziende di Scopo, caratterizza-te da una redditività differita. La restante quota viene impiegata in altri strumenti finanziari con ren-dimenti a breve in linea con il mercato. “L’obiettivo è quello di legare le operazioni di investimento finanziario all’economia reale, proponendo un progetto di impiego di capitali finalizzato alla realiz-zazione di infrastrutture, che salvaguardi i margini di redditività a favore dei risparmiatori e con li-mitati rischi di perdita sul capitale investito. Il sottoscrittore di un fondo mette i suoi soldi nell’infrastruttura, ma anche sul mercato mobiliare. Inoltre, le quote del fondo sono collocabili an-che sui normali mercati finanziari”, sottolinea il prof. Innocenti, docente dell’Università Cattolica di Milano e team leader di Catalyst.

Quali sono i vantaggi per il sistema economico? Realizzare più velocemente le infrastrutture, ridur-re drasticamente la spesa pubblica e quindi aggredire in maniera seria il debito pubblico, creando posti di lavoro e nuovi soggetti imprenditori. Quali sono i vantaggi sociali? Mettere in funzione un meccanismo che permetta ai cittadini di partecipare più direttamente alle scelte strategiche impor-tanti per il nostro paese come per esempio decidere quale dotazione di infrastrutture darsi per i pros-simi anni. Il modello è stato pensato per ogni tipo di infrastruttura o di servizio di interesse da parte dei cittadini. Il modello funziona solo se vengono attivate tutte le filosofie e componenti. Per quanto riguarda le grandi opere da realizzare nel nostro paese, il modello elaborato da Catalyst potrebbe rivelarsi particolarmente interessante per la costruzione del Ponte di Messina. Il Ponte può essere visto come la locomotiva di un indotto di business di cui fanno parte: l’impresa turistica, la logistica terrestre, l’intervento di miglioramento ambientale, la riconversione di attività portuali e il riassetto dei ruoli economici delle regioni più direttamente interessate. Tramite opportuni interventi di marketing infrastrutturale e seguendo il modello Catalyst verrebbero progettati i business collega-ti all’infrastruttura da affidare ad appositi soggetti economici destinati a condurli secondo logiche di mercato e a garantire il sostentamento dell’infrastruttura locomotiva “Ponte”. Appositi fondi di in-vestimento farebbero affluire il capitale necessario alle Aziende di Scopo, ossia alle società operati-ve immobiliari, gestionali, logistiche, ambientali, portuali e di servizio che gestirebbero tutto l’indotto del Ponte.

Confronto e punti forti

Vediamo un altro esempio di opera di rilievo. Il nostro paese è ricco di zone archeologiche non sfruttate. Un recupero archeologico va inteso come una infrastruttura locomotiva che trascinerà nu-merose altre attività collaterali che vanno progettate e governate da un’apposita Agenzia di Scopo. Andranno progettati, insieme al recupero, anche altri business collegati: immobiliare, turistico, al-berghiero, editoriale, ecc.
Confrontiamo adesso i due metodi (Fig. 2). Il Project Finance ha almeno tre punti deboli: innanzi-tutto le fasi lunghe della progettazione, intorno ai due-tre anni, a seconda dell’importanza dell’opera. Incoraggiando con il nuovo metodo, finanziato dalle famiglie, l’iniziativa privata, invece si salta il meccanismo delle gare, poiché si ricorre a un business plan che rende non più necessario nemmeno il security package, cioè le garanzie che le banche devono ottenere per assicurare la col-locazione sul mercato del capitale di debito della società veicolo e che ritardano i lavori. Qui il capitale di debito non c’è. E la banca mantiene soltanto un ruolo di collocatore del fondo e di financial advisor. Evitato il secondo ostacolo, c’è il terzo: il prezzo all’utenza. Con il modello pro-posto, il prezzo finale è più basso. Finita l’opera, c’è lo sfruttamento commerciale. Ma se non si de-ve remunerare capitale di debito, si accelera la successiva redditività a regime. Questo nuovo metodo costituisce quindi il rimedio a ritardi che il modello del Project Finance per forza impone e ne risolve i punti deboli.

Il modello Catalyst, una novità assoluta a livello mondiale, rappresenta uno strumento per costruire subito autostrade, acquedotti, restaurare il patrimonio artistico, ecc. Tale meccanismo può essere applicato anche al di fuori delle infrastrutture per affrontare problemi ed emergenze nazionali pur-troppo attuali come quella dei rifiuti in Campania, la dipendenza energetica dall’estero, la crisi Ali-talia o per diffondere modelli di sviluppo nuovi nel nostro paese vicini ai reali bisogni dei cittadini. Esso è innovativo perché prevede:

1. l’intervento dei soli cittadini-investitori interessati alle infrastrutture; 2. un marketing infrastrutturale particolarmente creativo nella costruzione e nella gestione dei busi-ness collegati alle opere stesse;
3. la defiscalizzazione dei redditi derivanti dagli investimenti infrastrutturali ovvero la possibilità detrarre quote dell’investimento effettuate in infrastrutture. Inoltre, consente ai risparmiatori di riappropriarsi del controllo dei propri investimenti dato che i fondi comuni di investimento “classi-ci” hanno offerto performance molto negative negli ultimi anni, riducendo i risparmi di molti inve-stitori italiani.
Le infrastrutture devono contenere un’articolata value proposition per il cittadino atta a soddisfare numerose utilità ricavabili dalla stessa tra cui quelle finanziarie. Esse possono diventare un’opportunità seria di impiego dei risparmi per tutti i cittadini italiani e non vanno considerate né un atto di buonismo statale né una riserva di business per pochi. Il modello Catalyst rappresenta il contributo che dei tecnici vogliono dare alle proposte che stanno alimentando il dibattito recente in materia di infrastrutture. Gli autori si mettono subito a disposi-zione di chiunque, soggetto pubblico o privato, fosse interessato a capirne di più e a realizzarlo.

Vincenzo Sabatino

(sabatino.vince@tiscali.it)
Pubblicato su Il Domenicale di Sabato 29 Marzo 2008

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