Coincidenza di episodi e probabili ripercussioni
Il Medio oriente a rischio escalation
Dalla morte di Tueni alle dichiarazioni di Bush, la situazione è sempre più incandescentedi Antonio Picasso - 13 dicembre 2005
Stanno giocando con il fuoco. Tutti e in tutto il Medio Oriente. A due giorni dalle elezioni in Iraq, una nuova escalation di violenza ha attraversato il Libano. E, nel frattempo, il presidente degli Stati Uniti, George Bush, se ne è uscito con una delle peggiori dichiarazioni della sua presidenza.
Da una parte Beirut torna nella paura del terrorismo. La bomba esplosa ieri mattina, infatti, ha zittito una delle voci più libere e coraggiose del Paese: Gebran Tueni, editore, ministro, ma anche ambasciatore all’Onu. Un campione della libertà, come dice oggi l’Orient et le jour, quotidiano francofono, vicino alle posizioni cristiano-maronite. Tueni aveva dedicato la sua vita a contrastare il regime siriano di Bashar al-Assad. Auspicando la nascita di un Libano finalmente in pace, indipendente e democratico. Tueni è stato freddato proprio nel pieno del suo impegno. Facile, quindi, la connessione con la morte di un altro esponente libanese dell’opposizione al governo di Damasco: l’ex premier Rafik Hariri, caduto, anch’egli per un’autobomba, il 14 febbraio scorso. Un attentato, quest’ultimo, che aveva suscitato l’attenzione anche dell’Onu. Ed è una triste coincidenza, quella per cui, mentre Tueni moriva, veniva consegnato il rapporto definitivo, stilato dalla commissione di inchiesta guidata da Detlev Melhis, che per mesi ha investigato sulla morte di Hariri. Coinvolgimento dei servizi segreti, questa la tesi delle Nazioni Unite. Damasco, tuttavia, ha già fatto sapere di rifiutare categoricamente questa accusa.
Sempre contemporaneamente e per un amaro gioco di coincidenze, Bush rendeva pubblico, per la prima volta, un ipotetico di numero di vittime in Iraq: 30 mila, in mille giorni di combattimenti. Cominciano a essere tante. D’altra parte, il presidente Usa ha anche detto che non cambierebbe nulla e che rifarebbe la stessa scelta di invadere l’Iraq, per abbattere il regime di Saddam Hussein.
C’è un nesso perverso in tutti questi fatti accaduti tutti allo stesso momento?
Ovviamente no. O almeno tra l’uscita di Bush e gli attentati di Beirut non si può certo vedere nessuna connessione. Tuttavia, si possono delineare fosche conseguenze connesse tra loro.
Siria e Stati Uniti sono sul piede di guerra. Basta un niente per far sì che il conflitto in Iraq sconfini in territorio siriano. Il problema è che, se ciò accadesse, sarebbe difficile fare delle previsioni. Un disastro, d’accordo. Ma di che tipo?
Le Nazioni Unite, oramai, hanno esplicitamente assunto una posizione anti-siriana. Era quella che Bush aspettava. Perché, in tal modo, se fossi, non ci impiegherebbe molto a cavalcare quest’onda di attrito ed esercitare una pressione in favore di un intervento armato contro Damasco, questa volta legittimato dal Palazzo di vetro.
Fantapolitica? Lo si vorrebbe credere. O meglio, se ne vorrebbe esser sicuri. Il problema è che un po’ tutti i governi sembrano si siano dimenticati della cautela che è uno strumento fondamentale per l’attività diplomatica.
Da una parte Beirut torna nella paura del terrorismo. La bomba esplosa ieri mattina, infatti, ha zittito una delle voci più libere e coraggiose del Paese: Gebran Tueni, editore, ministro, ma anche ambasciatore all’Onu. Un campione della libertà, come dice oggi l’Orient et le jour, quotidiano francofono, vicino alle posizioni cristiano-maronite. Tueni aveva dedicato la sua vita a contrastare il regime siriano di Bashar al-Assad. Auspicando la nascita di un Libano finalmente in pace, indipendente e democratico. Tueni è stato freddato proprio nel pieno del suo impegno. Facile, quindi, la connessione con la morte di un altro esponente libanese dell’opposizione al governo di Damasco: l’ex premier Rafik Hariri, caduto, anch’egli per un’autobomba, il 14 febbraio scorso. Un attentato, quest’ultimo, che aveva suscitato l’attenzione anche dell’Onu. Ed è una triste coincidenza, quella per cui, mentre Tueni moriva, veniva consegnato il rapporto definitivo, stilato dalla commissione di inchiesta guidata da Detlev Melhis, che per mesi ha investigato sulla morte di Hariri. Coinvolgimento dei servizi segreti, questa la tesi delle Nazioni Unite. Damasco, tuttavia, ha già fatto sapere di rifiutare categoricamente questa accusa.
Sempre contemporaneamente e per un amaro gioco di coincidenze, Bush rendeva pubblico, per la prima volta, un ipotetico di numero di vittime in Iraq: 30 mila, in mille giorni di combattimenti. Cominciano a essere tante. D’altra parte, il presidente Usa ha anche detto che non cambierebbe nulla e che rifarebbe la stessa scelta di invadere l’Iraq, per abbattere il regime di Saddam Hussein.
C’è un nesso perverso in tutti questi fatti accaduti tutti allo stesso momento?
Ovviamente no. O almeno tra l’uscita di Bush e gli attentati di Beirut non si può certo vedere nessuna connessione. Tuttavia, si possono delineare fosche conseguenze connesse tra loro.
Siria e Stati Uniti sono sul piede di guerra. Basta un niente per far sì che il conflitto in Iraq sconfini in territorio siriano. Il problema è che, se ciò accadesse, sarebbe difficile fare delle previsioni. Un disastro, d’accordo. Ma di che tipo?
Le Nazioni Unite, oramai, hanno esplicitamente assunto una posizione anti-siriana. Era quella che Bush aspettava. Perché, in tal modo, se fossi, non ci impiegherebbe molto a cavalcare quest’onda di attrito ed esercitare una pressione in favore di un intervento armato contro Damasco, questa volta legittimato dal Palazzo di vetro.
Fantapolitica? Lo si vorrebbe credere. O meglio, se ne vorrebbe esser sicuri. Il problema è che un po’ tutti i governi sembrano si siano dimenticati della cautela che è uno strumento fondamentale per l’attività diplomatica.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.