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L’Italia di oggi è il risultato dell’assenza di una forza politica

Il mancato rinascimento liberale

Bisogna immettere lo spirito liberale nel rinnovamento del Paese

di Massimo Teodori - 12 maggio 2009

L’idea che muove la vasta e accurata ricerca storiografica su I liberali italiani dall’antifascismo alla Repubblica curata da Fabio Grassi Orsini e Gerardo Nicolosi, è di rendere il dovuto valore a una “classe dirigente che aveva una visione nobile della politica”. Un obiettivo perfettamente raggiunto con questa raccolta di rilevanti saggi a carattere informativo e interpretativo, che tuttavia si lascia alle spalle il nodo che ha segnato negativamente la storia repubblicana: perché in Italia è mancata una forza liberale/liberaldemocratica in grado di incidere sulla vita nazionale.

Bisogna risalire alle prime elezioni democratiche del 2 giugno 1946 per cogliere l’inizio dell’insuccesso dei liberali che ottennero allora, insieme ai demolaburisti eredi della democrazia sociale, solo il 6,8% dei voti concentrati nel meridione, a fronte dei partiti di massa (Dc, Psiup e Pci) che raccolsero complessivamente i tre quarti dei suffragi.

Le elezioni per la Costituente resero chiara qual era la realtà uscita dalla guerra: i liberali non erano più la classe dirigente del prefascismo; il rapporto paritario del CLN era stato spazzata via dal voto popolare; il capo morale dell’antifascismo, Benedetto Croce, non contava più politicamente come nell’intermezzo 1943-1946; l’altro maestro, Luigi Einaudi, era proiettato in un ruolo tutto governativo; gli anziani revenant - Orlando, Bonomi, De Nicola, Ruini e Nitti - erano solo pensionandi, mentre i nuovi liberali, usciti dalla lotta al fascismo (La resistenza liberale di T.Piffer) e maturati nell’ipotesi di un liberalismo rinnovato (Il nuovo liberalismo di G.Nicolosi) venivano emarginati dal prevalere della vulgata antifascista e resistenziale.

E’ proprio nei giorni della rinascita che i liberali non seppero darsi una forza politica capace di affrontare la situazione nata dalla frattura del ventennio. Alcuni guardavano con nostalgia a un passato che era passato (Albertini e l’opposizione liberale in Senato di L.Zani , e Amendola liberale di E.D’Auria ), altri si crogiolavano nello splendido individualismo senza accettare la società di massa, e altri ancora, al Sud, pensavano di potere andare avanti nella logica del notabilato.

E, soprattutto, ai più era aliena l’idea che in una moderna democrazia occorressero per affermarsi, oltre le tradizioni e i valori, anche le gambe e le braccia politiche. I liberali, invece, aggregati nei diversi partiti e giornali, si dividevano in tante tendenze riconducibili a due principali famiglie: la sinistra liberale, ovvero i liberaldemocratici laici e riformatori che pensavano in termini di Terza Forza unitaria opposta alle chiese cattolica e comunista, e la destra liberale che inseguiva la prospettiva di un rassemblement moderato e conservatore, concorrenziale al cattolicesimo politico che però poteva contare sulla Chiesa e sul partito unico dei cattolici.

Ma entrambe le famiglie fallirono. I riformatori del centro e della sinistra liberale non ce la fecero a formare quella forza liberaldemocratica inseguita fin da quando, al primo congresso liberale di Napoli del 1944, perfino Croce auspicò la formazione di un “raggruppamento laico comprensivo del socialismo riformistico”. Il gruppo romano di Mario Pannunzio, che ne era l’anima liberaldemocratica europea (Il liberalismo di Mario Pannunzio di A.Cardini), dovette cedere le armi dapprima nel 1947, quando si consumò l’infausto connubio con qualunquisti e monarchici (La destra liberale e la segreteria Lucifero di E.Capozzi), e quindi, nel 1955, all’avvento di Giovanni Malagodi alla segreteria del Pli. Ebbe un reale successo politico solo col quotidiano Risorgimento liberale(1943-47) e il settimanale il Mondo (1949-1966), autentici strumenti liberali, oltre che fogli di alto valore culturale.

Le correnti di destra ancor di più mancarono nel dare al Paese un moderno partito conservatore, perché il 18 aprile 1948 ebbero una debacle insieme ai qualunquisti di Giannini, e nel 1954 si irrigidirono nel collateralismo confindustriale di Malagodi che per vent’anni mantenne il Pli fuori dai tentativi di modernizzare l’Italia.

Il dramma di un’Italia arretrata e corporativa che pesa ancora oggi sulla “seconda Repubblica”, non è stato tanto il tramonto di una élite dirigente con una visione nobile della politica, quanto l’assenza di una forza politica capace di immettere lo spirito liberale nel rinnovamento del Paese.

*Fabio Grassi Orsini e Gerardo Nicolosi (a cura),”I liberali italiani dall’antifascismo alla Repubblica”, Rubettino, Soveria Mannelli, 2008, pagg.839, € 36.00.

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