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Public Policy

E adesso cosa succederà?

Il gioco del cerino non basta

Il compito delle forze politiche è quello d’indicare il modello istituzionale della terza Repubblica

di Davide Giacalone - 06 settembre 2010

Inutile girarci attorno: il fallimento, simmetrico e coordinato, del predellino e del partito a vocazione maggioritaria, del partito unico, a destra come a sinistra, è notizia vecchia, consolidata, qui ampiamente sviscerata. Quel che ha detto Gianfranco Fini non aggiunge e non toglie nulla, ne è solo una conseguenza, cui si è giunti con scarso senso dell’estetica. Il quesito è: adesso, cosa succede. La risposta peggiore non è la più improbabile: niente.

Fini ha detto di sentirsi parte e volere restare nel centro destra. E sia. Non si ripete il miracolo italiano di chi busca levante per il ponente, in questo caso partendo dalla destra estrema per ritrovarsi a sinistra. Non sarebbe stato il primo, né il peggiore. Resta. Ma a far che?

Perché per come si sono messe le cose a me pare che il governo sia già in crisi e la legislatura abbia già tirato le cuoia, ma siccome non c’è alternativa e non si trova un becchino, ci teniamo la salma in refrigerazione. I professorini, di malaticcia e flebile costituzione, argomentano che i governi nascono in Parlamento e, quindi, si potrebbe subito mandare a casa Silvio Berlusconi e impostare il futuro.

Vero, ma inutile. Non c’è uno straccio di maggioranza che abbia un colante diverso dall’idea di cancellare il ripetuto risultato elettorale. Se anche mettessimo da parte (ed è esercizio ardito e pericoloso) il conteggio del consenso elettorale, comunque manca, in Parlamento, quale che sia alternativa politica dotata di coesione programmatica e capacità realizzatrice.

Fini ha ragione, quando ricorda che la politica è sempre più circondata da discredito. Non vedo come possa ritenersi estraneo e innocente, ma ha ragione. Il fatto è che il tempo che divide dal trapasso alla sepoltura non solo non rimedierà a questa falla democratica, ma aumenterà l’olezzo che ci sovrasta.

E’ vero che lo stallo governativo, la condanna a trattare e ritrattare tutto, perché la maggioranza s’è divisa, il timore di votare per non andare sotto, il ritiro di norme già votate da un ramo del Parlamento, è vero che tutto questo indebolisce e logora Berlusconi. Ma è anche vero che il tempo lavora contro l’opposizione, contro la sua componente politica e non solo protestataria. Se si allunga il brodo il Partito Democratico ci affoga, disgregandosi a sua volta. Non si ha idea di quale processo di polverizzazione s’è avviato.

La piazza di Mirabello è stata una trappola, nella quale Fini è caduto per potere avere la forza necessaria a difendersi dagli attacchi subiti, è stato il luogo ove ha accettato di cavalcare un’identità di minoranza, per sua natura estremistica. Un estremismo non ideologico, ma solo perché le ideologie più praticate sono morte nel secolo scorso.

E’ estremismo, ad esempio, far demagogia sui poliziotti che sfilano al festival di Venezia, senza entrare nel merito del problema, considerando anche i loro torti, e senza accorgersi che la terza (come la prima e l’ultima) carica dello Stato dovrebbe sottolineare che quella sceneggiata è inaccettabilmente lesiva delle istituzioni.

E’ estremismo lisciare il pelo dei precari della scuola, senza porsi il solo problema che compete ad una politica responsabile, ovvero la dequalificazione degli studi che danneggia i giovani. E’ estremismo sostenere che la flessibilità del lavoro debba essere compensata, a bocce ferme, da salari più alti, perché non si concilia con il bisogno, anche quello ricordato, di aumentare la competitività, perché dimentica che, da noi, il costo del lavoro è, per unità di prodotto, già più alto che in Germania. E’ comizio per galvanizzare i presenti, ma strumento inutile per governare. Non a caso, del resto, ha dovuto fare riferimento agli ideali dei suoi venti anni, tante volte rinnegati.

Il fallimento simmetrico, ieri ulteriormente certificato, non è il crollo di una formula, ma la cancellazione di una pretesa politica con la quale si è creduto di tenere assieme la malnata seconda Repubblica. Sono convinto che accorciare i tempi della presa d’atto, quindi delle elezioni anticipate, sia il minimo di profilassi capace di evitare il diffondersi d’infezioni insidiose, devastanti.

Ma non basta, perché il compito delle forze politiche, se non vogliono essere seppellite dalla storia, è quello d’indicare il modello istituzionale della terza Repubblica. Non serve a un accidente dire, come ha fatto Fini, che il sistema elettorale fa pena. Lo scrivevamo anche quando lui lo votava e usava.

E’ l’impalcatura istituzionale ad avere perso equilibrio ed efficacia. Da lì si deve riprendere, se la politica aspira ad un ruolo, mentre il resto è un patetico rimestare in un calderone nel quale sobbolle il peggio del nostro Paese e di noi stessi.

Avevamo scritto che a Mirabello non sarebbe successo nulla di significativo. Confermo. S’è solo continuato il gioco del cerino, ove ciascuno fa finta che si potrebbe andare avanti, nel mentre soffia sulla fiammella, sempre sperando che il fuoco spiri fra le dita altrui. Un gioco noioso, e anche fesso.

www.davidegiacalone.it

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