Il fisco. La morale e la realtà
Morbosità accertative e vincoli al contante non servono per una vera lotta all'evasionedi Enrico Cisnetto - 02 dicembre 2012
Partiamo dagli strumenti che ultimamente sono stati utilizzati per ridurre l’evasione e combattere chi non paga: vincoli nell’uso del denaro contante, controlli “stile Cortina” e adesso il redditest. Al di là della obiettiva riduzione della libertà individuale che essi generano, cui comunque è corretto contrapporre il danno collettivo (e quindi a ciascuno) che l’evasione produce, la domanda è: a quali risultati possono portare questi strumenti se nel 2013, anno in cui è aumentata la repressione con la benedizione del governo Monti, la stessa Agenzia delle Entrate stima un recupero effettivo di 13 miliardi, cioè soltanto il 2,3% in più dei 12,7 miliardi dell’anno prima e il 18% rispetto agli 11 miliardi del 2010? Domanda più che lecita, perché anche supponendo che tutte le altre variabili economiche negative (pil, consumi, investimenti, ecc.) siano imputabili esclusivamente alla recessione, il fatto che tra giugno 2011 e giugno 2012 l’Italia abbia subito un deflusso di capitali pari a 235 miliardi, cioè qualcosa come il 15% del pil (stima Fmi dello scorso 10 ottobre), altra spiegazione non ha che quella della paura del fisco. Fatto che trova riscontro nel crollo dei depositi nelle banche italiane (-26,4 miliardi nel solo mese di ottobre).
E in questa situazione, ha voglia Attilio Befera a dire che i modelli di consumo, e dunque gli stili di vita, presuntivamente stabiliti con il redditest, non hanno nulla di moralistico e sono solo indicativi. Il sistema funzionerebbe se il parametro della congruità servisse solo per indirizzare gli accertamenti, e questi fossero fatti tenendo conto del prezioso consiglio del presidente del commercialisti Claudio Siciliotti: non infastidire chi ha rispettato le leggi, distinguere tra la dimensione criminale del fenomeno e quella dovuta o allo stato di necessità o, a maggior ragione, a errori (quasi sempre ascrivibili a norme astruse e procedure complicate) e detrazioni di costi indebite. Diversità che ne merita altrettanta nei metodi e mezzi di repressione.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Società Aperta è un movimento d’opinione, nato dall’iniziativa di un gruppo di cittadini, provenienti da esperienze professionali e politiche differenti, animati dalla comune preoccupazione per il progressivo declino dell’Italia, già dal lontano 2003, quando il declino dell’economia, almeno a noi, già era evidente come realtà acquisita. L’intento iniziale era evitare che il declino diventasse strutturale, trasformandosi in decadenza. Oltre a diverse soluzioni economiche, Società Aperta, fin dalla sua costituzione, è stata convinta che l’unico modo per fermare il declino sarebbe stato cominciare a ragionare, senza pregiudizi e logiche di appartenenza, sulle cause profonde della crisi economica italiana e sulle possibili vie d’uscita. Non soluzioni di destra o di sinistra, ma semplici soluzioni. Invece, il nostro Paese è rimasto politicamente paralizzato su un bipolarismo armato e pregiudizievole, che ha contribuito alla paralisi totale del sistema. Fin dal 2003 aspiravamo il superamento della fallimentare Seconda Repubblica, per approdare alla Terza, le cui regole vanno scritte aggiornando i contenuti della Carta Costituzionale e riformulando un patto sociale che reimmagini, modernizzandola, la costituzione materiale del Paese. Questo quotidiano online nasce come spin-off di Società Aperta, con lo scopo di raccogliere riflessioni, analisi e commenti propedeutici al salto di qualità necessario