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Più La Qualunque che Muti

Il difetto è nel manico

Il patrimonio artistico e archeologico italiano dovrebbe essere una grande macchina per creare denaro

di Davide Giacalone - 28 marzo 2011

I soldi li ha chiesti Riccardo Muti, ma andranno Cetto La Qualunque. Li ha reclamati Sandro Bondi, ma li gestirà Giancarlo Galan. Lo stesso governo che li negava ora li concede, decidendo di mettere mano al portafogli (il mio, però). Magari potrebbero fare uno sforzo in più e spiegarci il perché e il per come. E nel mentre si festeggia il rinnovato flusso di quattrini, sia la politica che il giornalismo sembrano considerare “spettacolo” e “cultura” come sinonimi, tanto che non si capisce, a leggere dichiarazioni, titoli e articoli dove sia diretto, quel fiumiciattolo. Ci soccorre un evento luttuoso: erano più grandi i titoli dedicati alla dipartita di Liz Taylor che, ne sono sicuro, con il tempo e con l’appassirsi degli ammiratori, sarà considerata cultura, mentre ella fu diva dello spettacolo. Capace di creare ricchezza, senza reclamare aiutini.

Vediamo, prima di tutto, dove andranno i quattrini: dei 236 milioni aggiuntivi 149 finiranno al Fondo Unico dello Spettacolo (che essendo “unico” consente di buscar levante per il ponente), 80 alla tutela e recupero del patrimonio artistico e archeologico, e 7 agli istituti culturali. Quindi, più che altro aiuteremo lo spettacolo, con buona pace di chi crede si sia finanziata la cultura. In quanto a quest’ultima, è da dimostrarsi che pompare soldi nelle strutture esistenti significhi favorirla. A Pompei, ad esempio, sono state disposte assunzioni. Che sarà anche utile, forse indispensabile, ma si vorrebbe sapere come e quando finirà lo scandalo di quel patrimonio infruttuoso, se non d’umiliazioni.

Ora poniamoci due domande. La prima: è utile finanziare lo spettacolo? In generale no, più in dettaglio dipende da come. Quest’anno i film italiani stanno andando alla grande. Evviva. Il merito è anche di Checco Zalone. Rievviva. Ma perché dovremmo finanziarlo? Ci si ricordi che anche Hollywood nacque da agevolazioni fiscali, e non vedrei nulla di male in una fiscalità di favore in zone non sviluppate d’Italia, o per gli utili reinvestiti. Ma il finanziamento indistinto no, non serve. E per i geni del cinema che non fanno botteghino? Che lavorino per i posteri, orgogliosi d’essere precursori e felici di vivere in un Paese libero, in cui non tocca al governo stabilire cosa deve piacere.

Diverso il discorso per altri generi, ad esempio la lirica: parte stessa dell’identità culturale italiana e spettacolo costoso da mettersi in scena. Il principale aiuto, però, consiste nell’insegnare musica ai ragazzi, nel favorire le scuole. Se finanziamo solo lo spettacolo ci ritroveremo a pagare pianisti cinesi e tenori kazachi. Non è sensato. Se finanziamo lo spettacolo e basta va a finire che cristallizziamo le ciofeche raccomandate, a imperituro dileggio dei melomani.

Seconda domanda: è utile finanziare la cultura? Qui la risposta sembra ovvia, e se non è affermativa vuol dire che sei uno zotico che ruspa il terreno dopo la minzione. Ma se poi i soldi finiscono a pagare pletore di burocrati? Se ci si cura più del personale che del monumentale? La metterei in modo diverso: il patrimonio artistico e archeologico italiano dovrebbe essere una grande macchina per creare denaro e, invece, la sua (mal gestita) manutenzione lo brucia. Il difetto è nel manico. Soluzione: gestione privata dei siti e del grande mondo che vi gira attorno, con impegno sia ai restauri che al versamento di congruo obolo alle casse pubbliche, e controllo statale, serio e separato, in modo da assicurare che nulla sia danneggiato e tutto valorizzato. Perdonate la semplicità, ma quando la si complica troppo vuol dire che si hanno le idee confuse.

Abbiamo la possibilità, direi il dovere, di trasformare i problemi in ricchezza. Per farlo dobbiamo piantarla di discutere del nulla e di puntare le labbra suggenti solo verso il mammellone statale. Ancora possente, per quanto avvizzito. Salvo ricordare che per rifornirlo si prendono i nostri soldi, gli stessi che non potremo spendere, noi, in cultura.

Pubblicato da Libero

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