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Più tecnici, meno politici.

Il default della Seconda Repubblica

L’inadeguatezza dell’ordinario ceto politico obbliga che alla guida dello Stato siano coinvolte anche personalità preparate ed esperte, estranee alla milizia di partito.

di Fabio Fabbri - 03 febbraio 2013

Sulla genesi e sui primi atti del governo Monti ho letto e condiviso le analisi del direttore della Gazzetta di Parma, di Domenico Cacopardo e di Giacomo Voltattorni. Desidero soltanto aggiungere qualche riflessione che tiene conto degli sviluppi più recenti di questo terremoto politico.

Che di mutamento epocale si tratti non vi possono essere dubbi. Concordo con Macaluso, direttore de “il Riformista”, che ha assimilato quel che è accaduto oggi ad alcuni “passaggi” cruciali della storia della Repubblica: la togliattiana svolta di Salerno, con l’ingresso dei comunisti nel governo Badoglio; la rottura da parte del PSI dell’unità d’azione con i comunisti che ha propiziato le riforme di struttura del primo centro-sinistra: il compromesso storico voluto da Enrico Berlinguer per far fronte al terrorismo. Aggiungo all’elenco il governo Amato del ’92 e il governo Ciampi del ’94: anche allora l’Italia era sull’orlo del baratro e si è salvata con misure di emergenza.

Ma vediamo come si sono create le condizione per la costituzione di un governo composto da personalità estranee alla vita dei partiti, ma note per il successo che ha caratterizzato il loro cursus honorum nelle università, nelle professioni, nelle attività finanziarie. La formazione del nuovo governo di salute pubblica è risultata necessaria e urgente per fronteggiare con provvedimenti eccezionali la gravissima crisi economico-finanziaria che investe l’intero pianeta e che nei paesi più indebitati d’Europa, fra cui l’Italia, ha il suo “ventre molle”. La risposta naturale avrebbe dovuto essere la costituzione di un governo di unità nazionale imperniata sull’alleanza temporanea dei maggiori partiti. Quando la casa brucia, si devono accantonare le risse: serve uno sforzo di concordia operosa per spegnere l’incendio. E invece, i gruppi dirigenti dei due maggiori partiti, il P.D. e il P.D.L., che dal ’94 si combattono aspramente sotto le logore bandiere del bipolarismo impregnato di odio, si sono dimostrati incapaci di assumere direttamente la responsabilità di governare insieme per salvare il Paese.

Nasce da questo rifiuto, spia di una sostanziale impotentia gubernandi, l’esigenza di dar vita, nel rispetto della Costituzione, ad un governo straordinario. Chi, prima di ogni altro, ha capito che era necessario, in questo contesto drammatico, affidare la guida del governo a Mario Monti e alla sua squadra di manager di successo è stato il Capo dello Stato. Giorgio Napolitano, che dai suoi avversari di partito è stato in passato ingiustamente criticato perchè “troppo prudente”, ha dato prova del coraggio e della lungimiranza che fanno del politico uno statista. Ha scelto Mario Monti perché era indispensabile affidare la guida dell’esecutivo ad una personalità dotata di alto prestigio in Europa e nel mondo ed ha tenuto a battesimo un governo formato interamente da soggetti non-parlamentari. Forse sarebbe stato più opportuno un governo misto, composto da tecnici e politici, come fu quello formato nel ’94 da Carlo Azeglio Ciampi. Ma gli assurdi veti incrociati dei partiti hanno precluso questa ragionevole soluzione. Poi si è sfiorato il ridicolo con il tentativo sottobanco di conquistare qualche poltrona di sottosegretario.

Se questa è la realtà, sono legittime alcune conclusioni. Con la nascita del governo Monti si squaderna davanti ai nostri occhi il default della sventurata seconda Repubblica. Serve ora, propiziata dal referendum, una nuova legge elettorale, incentrata sulla proporzionale e sulle preferenze, per preparare l’avvento di una nuova stagione. In ogni caso, niente sarà più come prima. E’ prevedibile una scomposizione-ricomposizione delle forze politiche, visto che i due maggiori partiti sono in crisi e divisi al loro interno.

Proprio perché si apre un capitolo nuovo, il voto di primavera a Parma, avendo presente che è ormai improbabile la coincidenza con le elezioni generali, diventa un test assai interessante. Già ora, mentre siamo soltanto nella fase iniziale, si manifestano a livello locale gli effetti dello sconquasso nazionale. Il P.D.L. scosso dall’eclissi di Berlusconi, dalle inchieste giudiziarie e dalla fine ingloriosa dell’esperienza amministrativa in Comune, sembra quasi inerte. Il Partito democratico, solcato da divisioni e polemiche interne, che si riflettono nella pluralità di candidature alle primarie, si affida alla vecchia guardia post-comunista. Scendono in campo più movimenti ispirati al civismo: segno che il crollo del sistema politico accresce il numero dei cittadini che, interessati alla cosa pubblica, non si riconoscono nei partiti. Si manifesta inoltre un nuova vitalità dell’area laico socialista, in gara con un candidato socialista alle primarie. Anche il “ terzo polo” spera nello scongelamento dell’elettorato.

Un’ultima considerazione. Quello che è avvenuto in queste settimane dimostra anche, l’inadeguatezza dell’ordinario ceto politico, e dunque la necessità di acquisire alla guida dello Stato anche personalità estranee alla milizia di partito, ma dotate di competenze tecniche e di esperienza in campo internazionale. Antesignano di questa innovazione è stato Craxi. Il leader socialista negli anni ‘80, suscitando qualche mugugno fra i militanti del P.S.I., chiamò a far parte della squadra di governo l’ambasciatore Renato Ruggero, gli economisti Francesco Forte e Franco Reviglio, il rettore Antonio Ruberti. Senza dire che in passato non furono pochi i professori universitari che ricoprirono la carica di Presidente del Consiglio: Pella, Fanfani, Leone, Segni, Moro, Cossiga, Spadolini, Amato. La circolazione delle elites, come insegnano Wilfredo Pareto e Ortega Gasset, rafforza e migliora la democrazia. E’ agevole prevedere che alcuni degli attuali membri del governo si dedicheranno stabilmente alla vita politica, sospinti anche dall’incoraggiamento della Chiesa cattolica. Il più desideroso di intraprendere questo nuovo mestiere mi sembra Corrado Passera. Dicono che anche il premier “Super Mario” diverrà uomo politico a tutto tondo. Speriamo che diventi anche meno glaciale, meno monotono, meno custode del proprio algido aplomb: che qualche volta alzi il tono della voce, come fa a 87 anni il Presidente Napolitano.

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