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Stiliamo un sereno bilancio e apriamo un capitolo nuovo

Il default del bipolarismo italiano

Con l’aiuto dei centri di cultura politica che si richiamano al socialismo, possiamo costruire la Terza Repubblica

di Fabio Fabbri - 14 giugno 2010

La lucida riflessione di Ugo Intini sui guasti del bipolarismo coatto (Avanti! del 16 maggio 2010) è utile e tempestiva, anche per svegliare dal loro sonno dogmatico quanti si sono illusi che la spaccatura manichea del paese in due tronconi sia ormai un assetto irreversibile. Anche in casa nostra è l’ora di un sereno bilancio. Dopo la grande slavina del ’92-‘94, i naufraghi socialisti si sono divisi. Alcuni si sono accasati nell’edificio inventato da Berlusconi, altri hanno creato un partito-ancella di questo nuovo movimento; altri, e chi scrive fra questi, si sono collocati a sinistra, sperando, di confluire poi in un nuovo soggetto riformista; altri infine sono entrati tout court nel PDS-DS. Di questi ultimi è presto detto: sono stati, secondo copione, tutti liquidati o comunque emarginati. Resta da dire della nostra piccola scialuppa.

Se siamo sinceri con noi stessi, dobbiamo riconoscere che anche noi, sospinti dall’esigenza di contrastare la nuova destra, abbiamo accettato lo schema bipolare, salvo il lucido intervallo della Rosa nel pugno. L’epilogo è stato assai amaro. Con l’editto dell’infame Veltroni siamo andati incontro alla debacle storica: la fuoruscita dei socialisti dal Parlamento.

Se è vero che perseverare è diabolico, questa deve essere la nostra stella polare per il futuro: non ci piegheremo più alla logica bipolare. Lotteremo per il ritorno della proporzionale, come ci ha insegnato Turati, mirando ad un sistema di pluralismo depolarizzato. E fino a quando non sarà raggiunto questo obiettivo, per ritornare in Parlamento la sola alleanza elettorale possibile è con il partito che, come noi, è convinto che lo pseudo bipolarismo in atto stia portando l’Italia alla rovina. Sì, mi riferisco al partito guidato dall’On. Casini, che avrebbe avuto migliori risultati alle elezioni regionali se avesse evitato le alleanze biunivoche con entrambi i poli. Non è irrilevante che il leader dell’U.D.C. per primo abbia chiamato sciacallo lo sciacallo. Mi riferisco a “Tonino-Vanvera”, il giustizialista, quello che Prodi ha nominato ministro e che i post-comunisti hanno fatto senatore nel Mugello. Né mi preoccupa il nuovo nome della “cosa” con cui è necessario negoziare una dignitosa intesa elettorale. Anche il P.S.I. di Craxi, quello del socialismo tricolore, è stato il “Partito della Nazione”: e ad un tempo la “Terza Forza” sognata da Mario Pannunzio e dai radicali del Mondo. Sia chiaro: noi liberalsocialisti non siamo costretti a spostarci al centro. Recentemente, in un articolo ospitato dal Corriere della Sera, Michele Salvati, ideologo ed ispiratore del noto amalgama non riuscito, ha preso spunto dal libro di un politologo americano per sostenere che il centro è in via di scomparsa. E’ una rappresentazione che non si attaglia al caso italiano, anche sotto il profilo storico.

Anche negli anni della guerra fredda, di fronte al duopolio DC\PCI, Nenni e Craxi difesero il ruolo dei partiti laici, che non erano “centristi”. Non lo erano né il PLI, né il PRI, né tanto meno il PSI. Dunque, per quanto ci concerne, non dovremo mai più essere il partner obbligato di chi, in nome del mitico centro-sinistra, pretende di vincolarci all’alleanza con Di Pietro, o, peggio, con l’intruglio in gestazione fra De Magistris e Vendola. La nostra proposta, di fronte al crollo della seconda Repubblica, non può che essere il governo di unità nazionale, accompagnato dall’Assemblea Costituente.

Forse l’agonia non sarà breve, ma il default della Seconda Repubblica è inevitabile e porterà con sé la crisi profonda dei maggiori partiti. Entrambi sono corresponsabili del declino del Paese. Abbiamo ancora sul corpo le macerie della prima Repubblica. Cerchiamo di uscire quasi indenni dalle macerie della seconda. Intanto, non dobbiamo temere di cantare fuori dal coro a proposito del cosiddetto federalismo fiscale. E’ un salto nel buio e una insidia per l’unità della nazione. La Lega cercherà sul punto il soccorso del P.D., come si arguisce dal cinguettio fra Roberto Calderoni, l’inventore del porcellum, e Vasco Errani, il Governatore che ha perso il 10 per cento dei voti nella sua regione.

Certo, il leader dell’U.D.C., proteso a tutelare il volto moderato e vetero-democristiano del suo partito, non coltiva come dovrebbe il dialogo con le sparse membra laiche. Ma non abbiamo altra via... Quello che è accaduto ai nostri amici radicali, che hanno scelto di essere compagni di strada del P.D, è assai istruttivo. Apriamo dunque un capitolo nuovo. E non dimentichiamo che, con l’aiuto dei centri di cultura politica che si richiamano al socialismo, possiamo contribuire alla costruzione del progetto della Terza Repubblica.

Pubblicato su L"Avanti

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