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Il declino... il Paese ha le pile scariche

di Società Aperta - 10 gennaio 2004

IL DECLINO

L'Italia appare mollemente adagiata su di un piano inclinato: scivola con lentezza, ma inesorabilmente. Il Paese ha "le pile scariche", per dirla con il Censis, ma la ricchezza assai diffusa, gli ammortizzatori emersi e sommersi e in generale una qualità della vita dei più ancora molto alta, per ora rendono il declino strutturale solo parzialmente percepito. S'intuisce che le cose non vanno, ma si fatica a mettere a fuoco la portata dei problemi, le relative responsabilità e, soprattutto, le vie d'uscita. Per esempio, s'intuisce che nel corso degli anni Novanta e in questo primo scorcio di millennio l'economia italiana è cresciuta meno che in tutti decenni precedenti, accentuando il gap con gli Usa, l'Europa e i paesi più industrializzati e nello stesso vedendosi erodere il vantaggio sui paesi emergenti. Negli ultimi dieci anni il "sistema Italia" ha perso competitività, ridotto i margini di produttività, mangiato una fetta consistente della sua quota di commercio mondiale. Il nostro capitalismo ha ridotto drasticamente la sua taglia, schiacciandosi in verticale e allargandosi in orizzontale, è arretrato tecnologicamente, ha perso una parte importante della sua sovranità e distrutto il suo establishment. Il caso Fiat è emblematico, ma non esaustivo, della deindustrializzazione del paese. Le risorse finanziarie private, dopo aver alimentato la bolla borsistica, ora si dirigono verso il porto sicuro delle utilità. Così come s'intuisce che l'approdo nell'euro prima e il rispetto dei vincoli europei poi, non sono figli di un risanamento strutturale della finanza pubblica, bensì di un processo di privatizzazioni volte solo a far cassa - tradendo ogni obiettivo di politica industriale - e di un ricorso sistematico a misure una tantum. E, ancora, s'intuisce che è in corso un processo di deistituzionalizzazione assai pericoloso. Alimentato da un federalismo e da meccanismi di devoluzione suggeriti più dagli slogan che da modelli studiati con serietà, che stanno creando un enorme contenzioso tra amministrazione centrale ed enti locali e stanno moltiplicando i centri di spesa, rendendoli di fatto incontrollabili come nel caso della sanità. S'intuisce che, da un lato, la mancanza d'iniziativa riformista da parte del governo e, dall'altro, la cecità giustizialista dell'opposizione, complice la cattiva coscienza di tutti, hanno reso impossibile un serio confronto sulla giustizia. La quale affonda sempre di più in un'inefficienza che la rende eguale al suo opposto: una macchina fuori controllo che è in grado di comminare pene senza che vi sia mai stato un processo, ma, al tempo stesso, non è in grado di gestire i processi. Insomma, l'inferno delle persone per bene ed il paradiso dei delinquenti. Ma è pur vero che la società civile, nella gran parte dei casi, è silente e acquiescente. Spesso contribuisce a dar corpo a fenomeni grotteschi, come quello dei cosiddetti girotondi. E comunque quando tenta di far sentire la sua voce meditata non trova canali adeguati né nelle forze politiche, che sempre meno si comportano da strumenti di formazione della democrazia, né attraverso la stampa e i mezzi di comunicazione di massa, paralizzati da settarismi, scelte di parte e da conflitti di interessi editoriali, finanziari, economici e politici.


LE PROSPETTIVE

Il nostro compito, oggi, è di riflettere sul perché la Seconda Repubblica abbia tradito le aspettative che erano confusamente alla base del crollo forzato della Prima. Si tratta di lavorare per costruire un consenso ampio intorno all'esigenza di ripensare l'intero assetto politico-istituzionale del nostro Paese e di volare alto nella definizione di una Nuova Stagione Politica. Crollato con ritardo il muro ideologico della sinistra comunista, legittimata la presenza di una destra democratica in Parlamento e al Governo, superate le gelose distinzioni tra laici e cattolici, ora l'elettorato appare molto secolarizzato, più libero di orientarsi senza paraocchi o paralizzanti remore di appartenenza. In questa società "molecolare" e fluida la Politica ha uno spazio tutto nuovo e ampio da occupare, né può demandare ad altri soggetti il suo compito di veicolare la democrazia. Il potere economico, la magistratura, i media, la tecnocrazia, non possono sostituirsi alla Politica. Ma il bisogno di Politica si coniuga con la necessità di far nascere una nuova fase della vita collettiva del Paese basata sullo spirito che animò i nostri "padri costituenti" e che oggi conserva una straordinaria attualità. Per dare ragionevole certezza alle basi sulle quali reggere il governo del Paese serve un serio ripensamento della Politica, una nuova e condivisa idea dell'Italia. All'orizzonte bisogna porre una Terza Repubblica, le cui regole vanno scritte aggiornando i contenuti della Carta Costituzionale e riformulando un "patto sociale" che reimmagini, modernizzandola, la "costituzione materiale" del Paese. Si tratta di un compito storico cruciale e non più rinviabile, alla luce dell'esperienza di questi ultimi dieci anni in cui la Seconda Repubblica non è stata in grado di risolvere i problemi per cui era stata auspicata. I circoli di Società Aperta vogliono raccogliere questa sfida e diventare un punto di riferimento per quanti - anziché rassegnarsi al disimpegno e abbeverarsi alla fonte avvelenata del qualunquismo e dell'antipolitica - desiderano contribuire alla rivitalizzazione della Politica e alla nascita di una Nuova Repubblica.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.