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Formigoni vero le dimissioni

Il crollo del Celeste impero

La leadership di Formigoni si sta sgretolando senza che nessuna accusa sia ancora stata provata. Insieme a lui, guarda caso, tutte le nomenklature sembrano essere arrivate al capolinea..

di Angelo Romano - 16 ottobre 2012

E’ un paradosso tutto italiano che il governo della regione con il migliore stato di salute e con i conti della sanità in pareggio sia costretto a passare la mano per un sistema di accuse giudiziarie non ancora provate e dal clima di sospetto generalizzato che ne è scaturito.

Come è paradossale il comportamento delle forze politiche, da quelle di opposizione che soffiano sul linciaggio di piazza (Pd, Idv, Sel, esclusi i radicali) come se non avessero i loro accusati eccellenti ed immemori del “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, a quelle di maggioranza che si sfilano tremebonde ad una ad una lasciando il “Celeste” da solo, senza solidarietà, né levate di scudi, dopo averlo osannato, assecondato ed additato quale campione di buon governo per 17 anni.

Al di là dell’accertamento delle accuse - che riguardano anche Vendola, Errani, Penati ed altri che nessuno tenta di linciare in piazza - a membri della Giunta lombarda, a Formigoni, a consiglieri regionali, al di là del doppiopesismo di molti media, c’è anche in questa vicenda, come sempre, una responsabilità primaria della politica italiana col suo malvezzo di tentare sempre di aggirare le regole che essa stessa si è data o non è riuscita a dare ad altri, per poi pagarne le conseguenze.

E’ di palmare evidenza che un ventennio ininterrotto di governo determina delle “incrostazioni”, non a caso la legge limita a due mandati consecutivi le carriere di sindaci, presidenti di provincia e governatori. Ma per il Celeste questa legge non andava applicata, troppo ingombrante la sua presenza altrove. Sempre la legge prevede la raccolta di firme autenticate di elettori per presentare le liste, anche con l’intento non dichiarato di scoraggiare nuovi ingressi nel “giro” della politica. Ma per il Celeste anche questa legge non andava applicata, bastava qualche firma fasulla, come denunciato e provato dai radicali. La legge prevede un listino bloccato per garantire le prime file locali dei partiti, ma per il Celeste il listino poteva anche essere pieno di collaboratori privati del Cavaliere. Un Cavaliere che ha guidato l’Italia per lungo tempo e che non è riuscito a portare a casa nessuna delle riforme promesse, in primis quella della giustizia la cui mancata realizzazione determina l’Italia dell’accusa priva di sentenze e senza risarcimenti per chi è accusato ingiustamente come ha scritto Davide Giacalone.

Il Celeste impero si sgretola, come si è sgretolato il “carisma” del Cavaliere e il suo Pdl, come vanno sgretolandosi le inossidabili nomenklature della sinistra, mentre lentamente, con la fatica caparbia della radice di una vite, si fa strada nel cuore degli italiani il valore della Legalità.

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