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La clessidra berlusconiana

Il countdown è iniziato

E' ora che il presidente del Consiglio parli chiaramente agli italiani, chieda scusa e, poi, il voto

di Davide Giacalone - 10 novembre 2010

La clessidra berlusconiana vede scorrere in fretta i granelli, restandone pochi nella parte superiore. Se qualcuno non la capovolge il tempo sarà inesorabile. Il conto alla rovescia punta ad una data precisa: il 14 dicembre. Quel giorno la Corte Costituzionale deciderà della legge sul legittimo impedimento, secondo cui il dovere di governare ha la precedenza su quello di farsi processare. Se l’esito sarà favorevole alla legge, non cambierà nulla. Il governo resterà già in crisi e in attesa del medico legale che ne constati il decesso. Se, come molti scommettono, sarà negativo, allora si attribuirà la responsabilità della crisi alla reazione di Silvio Berlusconi, disposto a tutto, ma non ad essere processato. Se sarà una via di mezzo, verrà comunque letta come una sua sconfitta. A quel punto gli ultimi granelli faranno il salto verso il mucchio sottostante. Per reagire, quindi, Berlusconi ha ancora pochi giorni a disposizione.

Ne sono consapevoli anche gli altri, non a caso intenti a tenerlo fermo il più a lungo possibile. Rivelatore il più che tempestivo comunicato del Quirinale, teso a manifestare le preoccupazioni presidenziali circa la sorte di quel che resta della legge finanziaria, oggi detta legge di stabilità. Approvarla, dicono al colle, è un interesse inderogabile del Paese. Una specie di commissariamento temporaneo, nel nome del testo elaborato da Giulio Tremonti. Giusto, è così. Magari potevano pensarci anche prima, magari sarebbe bene sentire il commento, in materia, dei tanti che alla mattina sostengono che la politica economica fa schifo e alla sera si genuflettono alla saggezza di chi ne reclama l’approvazione. Qui scrive un bastian contrario, vedo le cose in modo diverso.

La scadenza decisiva è quella di aprile, con la sessione europea di bilancio. L’interesse vitale è giungerci con un governo saldamente in sella, possibilmente con sotto un cavallo. La legge di stabilità è una ratifica contabile. E’ stata emanata con decreto, sicché si può prolungarne la vita artificiale. Oggi ci se ne preoccupa perché se il governo è tenuto alla stabilità per il tempo necessario alla conversione, quel che rimane sarà successivo al 14 dicembre. Con quel che segue.

Il fatto che Umberto Bossi abbia detto che il governo va avanti e s’incarica lui di trattare con Gianfranco Fini, dopo avere a lungo sostenuto che il citato poteva anche trasferirsi a Montecarlo e che si doveva subito votare, è un ulteriore campanello d’allarme. O Berlusconi gira quella clessidra o non basterà prendersela con la forza di gravità.

Si guardi lo scenario: il presidente del Consiglio dice che va avanti e gli altri, se vogliono, devono votargli contro; Bossi sostiene che vuol fare il mediatore (lui?); Fini vuole le dimissioni di Berlusconi, ma per fare un’alleanza che governi (almeno) altri otto anni, i tre che restano più altri cinque, magari con lui stesso alla guida del governo. I pochi cittadini interessati potrebbero lecitamente chiedere: ma se sapete già che rifarete l’accordo, perché non vi chiudete in una stanza e vi parlate? Risposta: perché la scena è falsa, tanto quanto un borsa firmata venduta da un bengalese davanti Montecitorio. Non è vero niente. La messa in scena serve a condizionare il gioco istituzionale che seguirà l’apertura ufficiale della crisi di governo, già in atto da mesi.

Se Berlusconi si dimettesse il Presidente della Repubblica potrebbe far finta di non capirne le ragioni vere e, quindi, avviare le consultazioni per la formazione di un nuovo governo. Va da sé che non c’è nessuna maggioranza politica omogenea, ma si possono mettere assieme tre interessi: a. quello di chi non intende scollare le chiappe da dove si trova, e sono tanti, anche fra i parlamentari berlusconiani; b. quello di chi sa che per cancellare Berlusconi dalla scena si deve farlo senza tornare alle urne, quindi la dirigenza della sinistra, i finiani, e buona parte degli abitanti dei palazzi di cui il governo è accerchiato; c. quello di chi ha una tale sfiducia nell’Italia e negli italiani che ritiene possibile governarne i conti solo sospendendo la democrazia. E questo sarebbe il governo tecnico, o di transizione.

Se Berlusconi, invece, lo cacciano via con una sfiducia parlamentare, come prevede la Costituzione, allora sarebbe lui a poter dire a Napolitano: il mandato degli elettori era chiarissimo, andare avanti non è possibile, quindi non c’è altra strada che tornare alle urne. Ecco perché da settimane, direi da mesi, ci stanno lessando l’anima col giochino del cerino.

Basta, non se ne può più. Esiste una terza possibilità: parlare chiaramente agli italiani, descrivere la situazione, chiedere scusa e, poi, il voto. Prenda l’iniziativa il presidente del Consiglio (largamente responsabile della situazione in cui si trova), andando alle Camere per dire poche cose e chiarissime, senza l’ipocrisia di nuovi programmi e rinnovate alleanze.

La classe politica si presenta complessivamente fallimentare: la maggioranza perché non è stata capace di governare e l’opposizione perché non è stata capace di creare un’alternativa, quelli che traslocano da una parte all’altra perché non hanno orrore di sé stessi. Pazienza, la frittata si fa con le uova che ci sono. Rompiamo quelle, prima di romperci noi.

Pubblicato da Libero

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