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Ora anche Bertinotti vuole giocare in proprio

Il club delle mani libere

L'infinito rimescolio di carte di uno sfatto bipolarismo

di Elio Di Caprio - 06 dicembre 2007

Benvenuto a Fausto Bertinotti nel club delle mani libere, di coloro che vogliono riacquistare l"autonomia perduta, non si sa poi per fare cosa e con chi. Il Presidente della Camera ha detto di essere già “intellettualmente” oltre il centro sinistra. E" già qualcosa, ma non è tutto. Non è stata ancora svelata ai poveri mortali l"ulteriore strategia del profeta Bertinotti. Ma una cosa l"ha chiaramente in testa l"ex segretario di Rifondazione: l"impopolarità del governo Prodi non si rimonta in tempi brevi e rischia di portare alla rovina con sé tutte le forze alleate senza distinzione. Tanto vale allora distinguersi in tempo da Prodi e Veltroni e sperare nei futuri destini della “cosa rossa”. In fondo non è sempre compito delle avanguardie (?) anticipare il corso della Storia che verrà con una dose di sano machiavellismo?

Nel centro destra aveva già cominciato Gianfranco Fini con la storia delle mani libere, e prima di lui Storace, e prima ancora Pier Ferdinando Casini. Aveva concluso in bellezza Silvio Berlusconi con il proclama dal predellino, inventandosi seduta stante ( si fa per dire) un nuovo partito dalle mani libere. Sono tante le mani libere che si aggiungono alle ormai innumerevoli diaspore personali e di partito che hanno punteggiato quest"infelice scorcio di legislatura. Sparigliando di qua e di là, prendendo atto del fallimento, dove si vuole andare a parare? I disegni sembrano nascosti.

Ma come: prima si dice che nessun accordo è possibile con il “mostro” Berlusconi e poi il popolo della sinistra deve subire il dietro front ed adeguarsi all"”entante cordiale” tra i capi dell"ex Forza Italia e del nuovo Partito Democratico sulla legge elettorale? E" la politica, bellezza, si potrebbe dire. Sono i leaders che se sono tali devono vedere al di là degli iscritti e degli elettori e poi l"”intendenza” seguirà nonostante qualche momentaneo mal di pancia. A destra, ma ormai sarebbe meglio dire all"opposizione, quello stesso Berlusconi che faceva il diavolo a quattro per far cadere Prodi infischiandosene della legge elettorale, si converte al dialogo con gli ex “comunisti” e conduce la partita in prima persona come se gli alleati non esistessero più. Anche questa è politica, bellezza. Anzi un abbozzo di politica, perchè la fine deve ancora arrivare. Con tante giravolte e tanti dietro front è legittimo il sospetto dell"inciucio. Con la legge Gentiloni alle porte che potrebbe penalizzare le reti Mediaset difficilmente il tema del monopolio televisivo potrà essere eluso o escluso da un eventuale accordo “elettorale” tra Berlusconi e Veltroni. Un governo da Grande Coalizione, sia pure a tempo, per portare il Paese a nuove elezioni è la soluzione più saggia e praticabile nella situazione data. Lo sanno tutti, anche coloro che fanno finta di escluderlo. Ma poi come dare torto a chi paventa che una Grande Coalizione all"italiana non avrebbe nulla di teutonico come quella di Angela Merkel in Germania e si trasformi in Grande Spartizione? All"opinione pubblica angosciata dai problemi quotidiani giungono ormai soltanto gli echi delle infinite e complicate diatribe tra partiti in libera uscita sulla legge elettorale prossima ventura e sui modelli di riferimento, spagnolo o tedesco che siano. La gente ne capirà qualcosa in più solo all"atto del referendum, se e quando ci sarà. Intanto deve accontentarsi e rassegnarsi ai veri o finti rimescolii delle carte di coalizioni sempre sull"orlo della crisi da quando sono nate.

Rispetto ai problemi di casa nostra il mondo globale che ci sta attorno sembra un optional di passaggio che non richiede aggiustamenti e nuove visioni del destino nazionale. Tutto continua come prima. Tanto che persino il “globale” presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo che pure tuona a ragione contro i ritardi, i parassitismi, la scarsa concorrenza che affliggono l"Italia, accusa pubblicamente Berlusconi di utilizzare auto di marca straniera e non italiana. E il Cavaliere in risposta si scusa e si giustifica. Intanto l"Italia dei lavori “forzati” a mille euro al mese va avanti lo stesso.

Eppure ciò che noi non vediamo viene visto lucidamente dagli osservatori esterni come i Nobel per l"economia che recentemente si sono riuniti a Trieste per discutere sui mali dell"Italia e sui mezzi per fermare o invertire il declino. Secondo il nobel R. Mundell l"Italia appagata per aver raggiunto nel 1971 gli standards di vita di Francia e Germania ha preferito stappare una bottiglia di champagne fatta di spesa pubblica rigida e crescente, invece di rimboccarsi le maniche e così si è trovata impreparata alla sopravveniente flessibilità dell"economia globale. Per gli altri Nobel dovremmo riformare innanzi tutto scuole ed università, ritrovare gli incentivi al merito e legare i salari alla produttività. Sono tutte ricette di buon senso per un Paese che è rimasto seduto per troppo tempo ed è ancora immobilizzato dalle corporazioni di interesse e da un sistema politico che non si è aggiornato in tempo. E invece non facciamo niente e ci balocchiamo ancora nell"infinito gioco ai quattro cantoni in cui vince il partito delle mani libere che per primo riesce ad occupare la casella più importante del potere. Anche a costo di scalzare gli alleati di turno.

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