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Dopo la sentenza sul crak Italcase

Il “caso” Geronzi e Draghi

Il Financial Times vuole dal Governatore quel che negò a Fazio. C’entra forse AbnAmro?

di Enrico Cisnetto - 15 dicembre 2006

Ma come? Per anni il Financial Times ci ha rotto le scatole con le sue prediche sulla moral suasion di Antonio Fazio, e ora chiede a Mario Draghi un atto tanto stravagante quanto illegittimo come quello di “aggrottare le sopracciglia, senza neppure aprire bocca” per convincere i soci di Capitalia a non rinnovare la fiducia al presidente Cesare Geronzi in occasione dell’assemblea convocata per il 18 gennaio a seguito della condanna di primo grado relativa al crack Italcase? E bravi questi inglesi (o anglo-olandesi?): la discrezionalità è buona o cattiva a seconda di chi riguarda. In questo caso, se dovesse colpire una banca – Capitalia – cui ambisce un’altra – Abn-Amro – per mettersi al riparo a spese del sistema-Italia da un’eventuale opa ostile, visto che la seconda è amica e la prima no, ecco che la moral suasion diventa addirittura un dovere per il governatore di Bankitalia. Ma il problema non sono i salmi finiti in gloria dello “autorevole giornale britannico” – come si usa dire con colpevole provincialismo – bensì la mancata risposta del sistema bancario nel suo insieme al pericolo che si affermi una giurisprudenza giustizialista in materia di crediti a imprese in difficoltà. E sì, perchè sulla riconferma di Geronzi i soci di Capitalia decideranno nella loro autonomia, ma che dal suo “caso” si debba trarre, e al più presto, un’utile lezione, su questo proprio non ci piove. Il banchiere romano, infatti, è stato condannato per “bancarotta semplice” a seguito del fallimento del gruppo Bertelli, semplicemente per aver partecipato ad un comitato esecutivo di Capitalia in cui il comitato fidi della banca rese noto di averlo finanziato. Ora, uscendo dallo specifico, si evince che i banchieri italiani sono potenzialmente vittime di quello che potremmo chiamare “dilemma del prigioniero”. Infatti, se erogano credito ad un’impresa in difficoltà, o corrono il rischio di vedersi imputati di “bancarotta preferenziale” (e, in subordine, di “bancarotta semplice”) se nel frattempo quell’impresa è fallita – ciò derivando dall’essersi premuniti di adeguate garanzie, in mancanza delle quali sarebbero i soci della banca stessa a poter promuovere azioni di responsabilità – oppure all’opposto possono essere accusati di concorso nel fallimento di quella stessa impresa se è il mancato credito ad averla costretta a portare i libri in tribunale. Si pensi, per esempio, a quello che è successo con il “convertendo” Fiat: se nonostante i finanziamenti accordati, Fiat Auto fosse ugualmente decotta, tutti i più grandi banchieri italiani avrebbero rischiato l’imputazione di “bancarotta preferenziale”. Ma se quel credito convertibile non fosse stato erogato, quale responsabilità giuridica sarebbe stata loro appioppata? Quei soldi, come si sa, sono serviti al risanamento del gruppo torinese, e ora tutti applaudono, fortunatamente. Ma il problema resta, e con esso la pesante incertezza che genera.
Anche perchè c’è un’altra questione. Nelle banche minimamente organizzate, e in quelle grandi soprattutto, vige un sistema di delibere delegate che riconduce la responsabilità giuridica in capo a chi le adotta. Ora, pretendere che gli organi sovraordinati, per il solo fatto che sono destinatari di informative sui finanziamenti deliberati con poteri delegati, diventino anch’essi responsabili in solido (se non al posto di), significa scardinare l’intero impianto decisionale. Di questo passo, chi sarà quel presidente, quell’amministratore delegato o quel comitato esecutivo che accetterà di ricevere le informative senza pretendere di voler rifare l’istruttoria? Ma così i tempi saranno biblici, a tutto danno del sistema imprenditoriale che reclama invece più crediti, meno garanzie e maggiore velocità. E’ a questa condizione che si vuole portare un sistema che già fatica a tener testa alla competizione internazionale?
Insomma, se i Profumo o i Passera, i Bazoli o i Mussari non vogliono trovarsi nella scomoda, e persino un po’ ridicola, posizione del finto Pasquale nella celebre gag di Totò, dovrebbero muoversi, sollecitando autorità di controllo, governo, parlamento e magistratura ad intervenire. Anche perchè altri profili di rischio possono derivare dai bilanci delle banche, visto che iscrivervi un credito immobilizzato ormai equivale ad autodenunciarsi e non farlo altrettanto.
Naturalmente, non si tratta di attenuare le responsabilità, ma di evitare che se ne costruiscano di artificiali, basate su teoremi e su valutazioni fatte ex post, cioè dopo che si è potuto constatare quello che i banchieri non potevano sapere ex ante. Il caso Baffi-Sarcinelli docet.

Pubblicato sul Foglio del 15 dicembrre 2006

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