La devolution va avanti
Il Carroccio tiene in scacco il governo
Al Senato l'ennesimo ultimatum della Lega affretta l'iter della maxi-revisione costituzionaledi Alessandro Marchetti - 11 marzo 2005
La riforma sulla devolution continua ad avvelenare i toni del dibattito politico. Le sorti del progetto di revisione costituzionale, quella sul federalismo per capirci, è tornata di recente a scuotere gli equilibri politici della Casa delle Libertà, come non se fossero già precari. La conferma ci viene dagli episodi dell'8 marzo scorso.
I lavori al Senato, che prevedevano due sedute giornaliere, sono stati dominati, come previsto, da una buona dose di calcolo e di arroganza politica: tutta di marca leghista. La preoccupazione sui volti dei senatori si è palesata quando, al termine dei lavori mattutini, l'esame degli articoli sembrava arenarsi. Solo 3 erano quelli esaminati e la mole enorme di emendamenti presentati (2.200 solo quelli dell'opposizione) faceva pensare a tutto fuorché ad un esito promettente.
Senonché è bastata una rapida intesa tra i senatori leghisti ed un blitz a Palazzo Chigi, per risolvere la questione: il manipolo capeggiato da Calderoli si è, infatti, presentato da Berlusconi a reclamare quelle garanzie fondamentali per la stabilità di Governo, e, quindi capaci di evitare spiacevoli quarti d'ora agli alleati. La nota di Palazzo Chigi non si è fatta attendere; preoccupato nei toni, il premier ha voluto ribadire le priorità della maggioranza, ovvero approvare il testo entro la pausa pasquale e le elezioni regionali.
Di lì il passo è stato breve: a rimediare ci ha pensato Renato Schifani, che senza troppi indugi ha provveduto a fare invertire l'Ordine del giorno: la soluzione ha sacrificato di fatto la discussione del decreto sull'election day, previsto per le 16.30, sull'altare della "sopravvivenza politica" del Governo.
D'altronde lo insegnano i latini: primum vivere. Da tutto questo non escono che conferme e un brivido di impotenza investe tutti i cittadini di buon senso. Sembra non fare effetto il coro di sdegno che la riforma ha raccolto: il lavoro molteplice che da ogni parte è andato a delegittimare la riforma, ha avuto illustri detrattori. Tecnici, costituzionalisti, politologi o semplici analisti hanno costantemente tenuto alto il livello di diffidenza, verso una riforma che promette di sconvolgere il volto istituzionale del Paese. Con la nuova seconda parte della Costituzione, le regioni avranno libertà di legiferare anche su sanità, scuola, polizia locale ed amministrativa minacciando non poco l'unità del Paese in fatto di istruzione, assistenza e pubblica sicurezza. Inoltre le modifiche in esame, ridisegneranno la figura del premier, investito di poteri quali lo scioglimento delle Camere e la revoca dei Ministri: fa da ciliegina l'introduzione del Senato Federale, riccamente snaturato e privo delle sue prerogative originarie.
Ma all'establishment responsabile di questa riforma, "devastante" per il numero di norme stralciate (53 gli articoli da modificare), non sembra toccare la grave frattura che lo separa ormai dall'opinione pubblica, frustrata dall'arbitrio di certa classe dirigente. D'altronde non è mai venuta a mancare la disapprovazione della società civile, del mondo accademico e di chiunque sia dotato di buon senso, all'indirizzo del più palese degli strappi istituzionali: diffidenza che si è affiancata allo sdegno politico, quasi scontato, del centrosinistra, La necessità di rinnovamento che il Paese avverte, il declino politico ed economico del Sistema Italia non solo non andrà risolto dalla riforma federalista, ma rischia di moltiplicarsi all'infinito. Inutile ricordare, proprio perché ampiamente confermato da persone competenti, quanto l'impianto del federalismo fiscale si prepari ad aggravare il rapporto già conflittuale tra Stato e Regioni.
C'è di più. La nuova configurazione normativa darà vita, immancabilmente, ad una evoluzione patologica del rapporto tra Enti locali e Stato. Insomma ci prepariamo a vivere una semplice "illusione" federalista, come è emerso dal dibattito che Società Aperta ha organizzato recentemente a Bologna, palesata anche dal fatto che la macchina burocratica resta saldamente nelle mani dei ministeri, sempre in grado di riprendersi tutte le prerogative. Questa prospettiva diventa pericolosa per l'affidabilità e l'efficienza della apparato statale. Intanto la legge va avanti; sorda agli echi delle forze riformiste, e agli interessi di certi gruppi di pressione ampiamente favorevoli ad una riforma dello Stato, purché discussa e approvata da un'Assemblea Costituente, legittima e sovrana. E' di molti oramai la convinzione che la Casa delle libertà non risponda altro che ad un continuo ricatto politico di alleati scomodi, con il risultato di affidare al Paese riforme bastarde e scellerate.
I lavori al Senato, che prevedevano due sedute giornaliere, sono stati dominati, come previsto, da una buona dose di calcolo e di arroganza politica: tutta di marca leghista. La preoccupazione sui volti dei senatori si è palesata quando, al termine dei lavori mattutini, l'esame degli articoli sembrava arenarsi. Solo 3 erano quelli esaminati e la mole enorme di emendamenti presentati (2.200 solo quelli dell'opposizione) faceva pensare a tutto fuorché ad un esito promettente.
Senonché è bastata una rapida intesa tra i senatori leghisti ed un blitz a Palazzo Chigi, per risolvere la questione: il manipolo capeggiato da Calderoli si è, infatti, presentato da Berlusconi a reclamare quelle garanzie fondamentali per la stabilità di Governo, e, quindi capaci di evitare spiacevoli quarti d'ora agli alleati. La nota di Palazzo Chigi non si è fatta attendere; preoccupato nei toni, il premier ha voluto ribadire le priorità della maggioranza, ovvero approvare il testo entro la pausa pasquale e le elezioni regionali.
Di lì il passo è stato breve: a rimediare ci ha pensato Renato Schifani, che senza troppi indugi ha provveduto a fare invertire l'Ordine del giorno: la soluzione ha sacrificato di fatto la discussione del decreto sull'election day, previsto per le 16.30, sull'altare della "sopravvivenza politica" del Governo.
D'altronde lo insegnano i latini: primum vivere. Da tutto questo non escono che conferme e un brivido di impotenza investe tutti i cittadini di buon senso. Sembra non fare effetto il coro di sdegno che la riforma ha raccolto: il lavoro molteplice che da ogni parte è andato a delegittimare la riforma, ha avuto illustri detrattori. Tecnici, costituzionalisti, politologi o semplici analisti hanno costantemente tenuto alto il livello di diffidenza, verso una riforma che promette di sconvolgere il volto istituzionale del Paese. Con la nuova seconda parte della Costituzione, le regioni avranno libertà di legiferare anche su sanità, scuola, polizia locale ed amministrativa minacciando non poco l'unità del Paese in fatto di istruzione, assistenza e pubblica sicurezza. Inoltre le modifiche in esame, ridisegneranno la figura del premier, investito di poteri quali lo scioglimento delle Camere e la revoca dei Ministri: fa da ciliegina l'introduzione del Senato Federale, riccamente snaturato e privo delle sue prerogative originarie.
Ma all'establishment responsabile di questa riforma, "devastante" per il numero di norme stralciate (53 gli articoli da modificare), non sembra toccare la grave frattura che lo separa ormai dall'opinione pubblica, frustrata dall'arbitrio di certa classe dirigente. D'altronde non è mai venuta a mancare la disapprovazione della società civile, del mondo accademico e di chiunque sia dotato di buon senso, all'indirizzo del più palese degli strappi istituzionali: diffidenza che si è affiancata allo sdegno politico, quasi scontato, del centrosinistra, La necessità di rinnovamento che il Paese avverte, il declino politico ed economico del Sistema Italia non solo non andrà risolto dalla riforma federalista, ma rischia di moltiplicarsi all'infinito. Inutile ricordare, proprio perché ampiamente confermato da persone competenti, quanto l'impianto del federalismo fiscale si prepari ad aggravare il rapporto già conflittuale tra Stato e Regioni.
C'è di più. La nuova configurazione normativa darà vita, immancabilmente, ad una evoluzione patologica del rapporto tra Enti locali e Stato. Insomma ci prepariamo a vivere una semplice "illusione" federalista, come è emerso dal dibattito che Società Aperta ha organizzato recentemente a Bologna, palesata anche dal fatto che la macchina burocratica resta saldamente nelle mani dei ministeri, sempre in grado di riprendersi tutte le prerogative. Questa prospettiva diventa pericolosa per l'affidabilità e l'efficienza della apparato statale. Intanto la legge va avanti; sorda agli echi delle forze riformiste, e agli interessi di certi gruppi di pressione ampiamente favorevoli ad una riforma dello Stato, purché discussa e approvata da un'Assemblea Costituente, legittima e sovrana. E' di molti oramai la convinzione che la Casa delle libertà non risponda altro che ad un continuo ricatto politico di alleati scomodi, con il risultato di affidare al Paese riforme bastarde e scellerate.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.