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Crisi economica: un nuovo campanello d’allarme

Il Bollettino economico parla chiaro

Sarebbe l’ora di uno scatto e della sollecitazione di convergenze politiche, sociali ed economiche

di Angelo De Mattia - 16 ottobre 2009

Se, a livello mondiale, si sta profilando una ripresa in larga parte effetto delle politiche economiche di sostegno – una ripresa lenta, esposta a rischi quando dovessero cessare gli stimoli fiscali e monetari – in Italia non si intravede ancora una chiara inversione di tendenza, soprattutto della domanda interna e di quella estera: si potrebbero così parafrasare le prime pagine del Bollettino economico trimestrale della Banca d’Italia, pubblicato ieri. Il quadro dell’economia italiana non è certo esaltante. Ma parlano rigorosamente i numeri e fanno giustizia di tante chiacchiere e di questo o quel “ miles gloriosus “pronto ad attribuire a una o due rondini il segnale che è arrivata la primavera. Insomma, stando alle cifre, è difficile definire questa fase financo come di transizione, potendosi ritenere che il passaggio verso la ripresa non è ancora iniziato, mentre nettamente prevalgono dati, stime e considerazioni non propriamente favorevoli. Certo, si tratta di riferimenti e di analisi congiunturali e, dunque, sarebbe inappropriato trarne valutazioni di carattere strutturale. Senonchè siamo in presenza di un quadro economico che non si manifesta ex abrupto, ma presenta forti elementi di continuità che consentono di poter svolgere considerazioni di prospettiva.

E’ vero che l’attività industriale ha segnato un rialzo nel terzo trimestre ( a luglio, il 2,4 per cento sul mese precedente e il 7,0 per cento ad agosto ), ma questo risultato – precisa il Bollettino – riflette in parte effetti statistici dovuti alla forte erraticità della componente stagionale; a settembre, infatti, la produzione industriale dovrebbe ridursi di circa il 2 per cento. Peggiora la competitività ( con una caduta, tra giugno e agosto, di 0,7 punti percentuali, che si aggiunge ai due punti accumulati nel primo semestre ): risente di un nuovo calo della produttività; la redditività delle imprese resta ai minimi del decennio. Se si attenua la contrazione degli investimenti produttivi, si accentua, invece, quella nelle costruzioni.

Una nota non negativa viene dai consumi, essendosi interrotto, nel secondo trimestre, il calo della spesa delle famiglie – risultanti, nella nota indagine, meno pessimiste - che registra un aumento dello 0,3 per cento sul periodo precedente. Continua, invece, a diminuire il numero degli occupati che, nel secondo trimestre, presenta una perdita di mezzo milione rispetto a un anno prima. La flessione dei lavoratori precari risulta di 300 mila unità. Particolarmente colpito è il Mezzogiorno da questa vera e propria questione sociale.

Se, almeno per ora, non vi sono problemi dal versante dell’inflazione che cresce assai moderatamente ( a settembre si porterebbe allo 0,3 per cento ), un punctum dolens particolare resta il credito la cui crescita continua a contrarsi ( ad agosto i prestiti sono aumentati del 2,2 per cento rispetto allo stesso mese del 2008, mentre un anno prima crescevano a tassi del 10 per cento circa ).

Il Bollettino precisa, però, ed è bene che ne prendano nota quanti sono pronti a considerare “colpevoli” solo le banche, che la dinamica dei prestiti – la riduzione del cui sviluppo colpisce più le imprese che le famiglie - è riconducibile sia agli effetti della congiuntura economica sulla domanda, sia a condizioni di offerta che permangono restrittive.

Se ne può ricavare che, mentre su queste ultime è giusto attendersi una svolta, finalmente, dal sistema bancario – aderendo agli impulsi continui e ai diversi provvedimenti della Banca centrale – per quanto riguarda i problemi dal lato della domanda, gli istituti di credito non possono di certo essere chiamati a svolgere una funzione surrogatoria delle carenze della politica economica. Crescono le sofferenze e particolarmente marcato per le imprese è l’aumento del tasso di ingresso in sofferenza, altro punto, questo, che chiama in ballo il contesto esterno e non in primis il ruolo delle banche. La redditività degli istituti di credito peggiora e la raccolta rallenta; migliorano, invece, i coefficienti patrimoniali dei maggiori gruppi bancari.

L’espressione che qualifica i conti pubblici, pur dovendo tener conto della loro condizione in molti altri paesi, non è affatto ordinaria. Il Bollettino ne considera lo stato in notevole peggioramento, soprattutto a causa della dinamica particolarmente negativa delle entrate, essendosi ridotto il gettito, nei primi nove mesi, del 3,2 per cento.

E ciò, nonostante la forte crescita di imposte sostitutive straordinarie. L’indebitamento nell’anno salirà al 5,3 per cento del Pil e il debito dovrebbe crescere di nove punti percentuali, al 115,1 per cento del prodotto. La relazione di Palazzo Koch, per gli altri dati sui conti pubblici, richiama – significativamente, senza commento - i programmi e le stime del Governo.

Dopo aver ascoltato fino alla nausea le affermazioni sulla intervenuta messa in sicurezza della finanza pubblica, i dati del Bollettino, non solo quelli sul bilancio dello Stato, sono un nuovo campanello d’allarme, pur confermando autorevolmente, nella sostanza, cifre già elaborate da altri previsori. Ma essi stanno a significare che è illusorio pensare di conseguire l’accennata sicurezza, non ponendosi il problema dello stimolo all’economia reale, con una terapia d’urto.

Il rigore che si ritiene di osservare, mentre si riduce significativamente il gettito tributario, rischia di tradursi nel “ rigor mortis”. E non vale in maniera rilevante il raffronto con altri paesi, che certamente non partono dalla condizione di bradisismo nella quale si trova la nostra economia per i problemi di competitività e di produttività. E se fondamentale sarà il modo in cui si uscirà dalla crisi, quando ciò avverrà, senza una svolta nella politica economica che affronti i nodi strutturali della nostra economia, ci candidiamo a uscire dalla tempesta nel modo peggiore.

Da un lato, si registrano le tendenze incerte e le questioni nodali testé accennate della competitività, dell’occupazione, del credito, della redditività, dei conti pubblici e , dall’altro, il non negativo andamento dei consumi ( che, per la verità, sono gli ultimi a cadere quando l’economia va male, certamente molto dopo gli investimenti ) e il debolmente migliorato clima di fiducia delle famiglie, con una crescita del Pil a settembre che viene stimata nell’1 per cento. Troppo poco per concludere che abbiamo iniziato il percorso giusto, senza affrontare i nodi che stringono la nostra economia, senza porre mano alle riforme strutturali, senza imprimere un impulso straordinario.

Altro che pensare di risolvere i problemi del Mezzogiorno con la costituzione di una banca – ircocervo, disegnata con un ordinamento e con prospettive che si esporranno a ostacoli, anche sul terreno della conformità alle norme comunitarie. Sarebbe l’ora di uno scatto e della sollecitazione di convergenze politiche, sociali ed economiche. Ma, se si dà un giudizio rassicurante della crisi, magari in nome del sopire e troncare, allora di una terapia economica forte si finisce con non vedere la necessità. Eppure, il Bollettino parla chiaro.

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