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L’agonia del sistema politico italiano

Il bipolarismo è un valore assoluto?

Se tutti in Europa fanno Grandi Coalizioni noi ci teniamo un bipolarismo bastardo

di Enrico Cisnetto* - 08 marzo 2007

Caro Direttore,

leggo sull"Unità del 2 marzo che Gianfranco Pasquino - cui va la mia stima -fa il benemerito sforzo di distinguere il bipolarismo «ideale» da quello «realizzato», ma poi casca anche lui nella trappola dell"equazione tra bipolarismo e alternanza e tra «non bipolarismo» e centrismo, finendo con la solita evocazione del rischio di ritrovarci in mano a «governi irresponsabili». Vorrei provare ad obiettare. Partendo proprio dalla questione su cui mi trovo d"accordo con Pasquino: il giudizio sul «bipolarismo all"italiana». Perché non ci si può limitare a dire che il sistema politico su cui si fonda la Seconda Repubblica non ha funzionato, senza dedurne che esso va cambiato strutturalmente. Di solito anche chi mostra l"onestà intellettuale di ammettere il fallimento del nostro bipolarismo, poi -come Pasquino- ne fa discendere semplicemente la necessità di un suo «miglioramento». Come se la formazione di due coalizioni eterogenee, condizionate dalle «ali», prive di ogni ben che minimo riconoscimento reciproco, animate da una classe dirigente di sca¬dente qualità, formalmente ba¬sate sull"asse sinistra/destra (categorie del Novecento poco utili a leggere la realtà del mondo globalizzato) ma sostanzialmente definite dall"essere pro o contro una persona (nel caso Silvio Berlusconi, ma il discorso varrebbe per chiunque altro), insomma come se l"insieme di tutti questi difetti che hanno prodotto nientemeno che l"ingovernabilità del Paese dimostrata da tutti i dati di declino strutturale in cui vive da oltre tre lustri l"Italia siano su¬perabili con la bacchetta magica della buona volontà e del bon ton. No, caro Pasquino, non basta evocare il pericolo di buttar via l"alternanza con l"acqua sporca del bipolarismo per giustificare lo status quo, anche perché l"al¬ternanza è buona cosa quando dì essa i cittadini possono fare a meno (Blair al terzo mandato ne è un esempio), mentre la no¬stra è un"alternanza «obbligato¬ria», nel senso che siamo già si¬curi in partenza che vincerà le elezioni l"opposizione per il semplice fatto che chi ha vinto in precedenza lo ha fatto sulla base di aspettative che saranno inevitabilmente deluse. Dun¬que, il sistema va riformato, e non basterà una nuova legge elettorale - specie se la cui scel¬ta fosse disgiunta da quella, non meno importante, di un nuovo assetto istituzionale - a darci un bipolarismo all"altezza delle più mature esperienze eu¬ropee. Le quali, sia detto per in¬ciso, non hanno mai prodotto «sistemi a due» (partiti o coali¬zioni che sia), ma sempre con almeno 3-4 soggetti, tanto nel caso abbiano il maggioritario (Gran Bretagna e Francia) quanto il proporzionale (Germania). Ma c"è un altro ragionamento che qui vorrei introdurre: quel¬lo sull"attualità del bipolarismo. Non credo che sia un ca¬so che in Europa alcuni paesi -dopo la Germania, anche Au¬stria e Olanda - stiano adottando forme di Grande Coalizione, li si sono accorti che le trasformazioni epocali verso cui bisogna andare - modello di sviluppo, sistema di welfare, patto sociale - per effetto della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica richiedono un consenso straordinario e hanno deciso che è il momento di ridurre la conflittualità elettora¬le per assumersi responsabilità in solido. Lo stesso discorso dovrebbe valere per l"Italia, e a maggior ragione visto che siamo più indietro degli altri partner di Eurolandia. D"altra parte, Pasquino ne converrà, i sistemi politici non vanno giudi¬cati in assoluto, ma se sono più o meno adatti alle circostanze storielle. E allora, quando il bipolarismo buono tramonta in Europa, perché l"Italia dovreb¬be tenersi quello cattivo?

*Presidente Società Aperta

Pubblicato su l"Unità di mercoledi 7 Marzo

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