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Tra Spatuzza, Fini e il no B-day

IL Big bang day

Quando i nodi al pettine diventano troppi

di Elio Di Caprio - 03 dicembre 2009

Una conversazione dal sen sfuggita, quella ormai famosa di Fini con il procuratore Trifuoggi, è ben più rivelatrice di cento saggi del Presidente della Camera sulle ragioni del suo tirare diritto per un’altra via al di là e al di fuori del berlusconismo. Lo è per i toni più che per il contenuto, per l’insofferenza evidente verso un compagno di strada che ha sempre preteso ed è riuscito in 15 anni a fare da battistrada ed apripista ad ogni svolta politica fino a diventare l’unico referente, l’unico personaggio che conta per la destra (al governo) come per la sinistra (all’opposizione), il satrapo o l’ultimo imperatore romano su cui si appuntano ora le ironie del Presidente Fini.

Quanto detto da Gianfranco Fini non potrebbe essere direttamente fatto proprio dalla sinistra, girotondina e non, che da anni ha tentato di demonizzare Berlusconi, senza se e senza ma, oppure non potrebbe essere facilmente condiviso da un’opinione pubblica che mostra segni di insofferenza verso questo bipolarismo ma è costretta ad accettarlo perché come dice lo stesso Fini nel suo saggio sulla libertà, è l’offerta ad orientare la domanda in politica più che in economia?

Ma se andiamo a ben vedere dell’ultima offerta quasi bipartitica su cui abbiamo votato alle ultime elezioni, dell’ultima ammucchiata improvvisata qualche responsabilità ce l’ha pure l’ex capo di AN. La svolta del predellino è stata da lui a malincuore accettata con mille riserve mentali, ma poi è quella che ha reso possibile la vittoria, inaspettatamente ampia, del centro destra ed ha consentito a Fini di ritagliarsi un posto super partes come Presidente di Montecitorio.

E’ mai possibile che Gianfranco Fini, che da quindici anni conosce il Cavaliere (e la Lega) non abbia calcolato che una straripante vittoria gli avrebbe dato più carisma, avrebbe ancor più accentuato il suo potere personalistico in barba ad ogni velleità o tentativo di costruire un partito tradizionale con una dialettica interna che non consentisse ad uno solo di apparire e decidere per tutti?

E invece no, sembra che non ci abbia pensato ed ora cerca ed ottiene facili sponde da una sinistra che non vedeva l’ora di aggrapparsi ad un’ancora di salvataggio mediatico, qualunque essa fosse, anche quella offerta (in)consapevolmente da Fini, pur di far dimenticare gli errori passati e le incertezze che ancora perdurano persino sull’opportunità di ricorrere alla protesta di piazza. Vedremo come andrà a finire il no B day e se si trasformerà in un bing bang day che segni l’inizio dell’effettivo tramonto del berlusconismo, con o senza nuove elezioni.

Se ciò succederà quanto sarà dovuto alla piazza o alle esternazioni di Fini?
E’ un gioco poco convincente quello a cui stiamo assistendo, in cui da sinistra nessuno protesta se un Presidente della Camera al suo ruolo principale preferisce quello di un capo partito che non c’è. Immaginiamo quali furenti proteste ci sarebbero state in altri contesti se non fosse stato Fini, ma un altro esponente berlusconiano, a voler sparigliare le carte dall’alto del suo seggio parlamentare, dimenticando la sua originale e principale funzione super partes di terza carica dello Stato!

In una situazione che si fa sempre più confusa i giornali di Berlusconi attaccano Gianfranco Fini, il compagno di strada che sembra non essere più tale, mentre la sinistra si prodiga in riconoscimenti verso il nuovo corso del Presidente della Camera e si augura che riesca prima o poi a capeggiare una destra moderna e, perché no?, finalmente europea. Persino l’ultimo saggio pedagogico di Fini, con tutti i suoi affastellati riferimenti futuristi ad autori finalmente non più e non solo di destra, viene digerito ed osannato a sinistra quasi fosse un nuovo prontuario della libertà e della cittadinanza su cui tutti dovrebbero concordare.

Vi si parla di patriottismo costituzionale che tutti dovrebbe accomunare dopo la fine delle ideologie, di laicità che però non offenda la Chiesa cattolica, di tolleranza per il diverso, di nuova frontiera europea, della nuova generazione di giovani “flessibili per necessità, ma felici per scelta” (buon per loro) e di altre ovvietà. Si potrebbe dire che non c’è solo la “banalità del male” che Fini richiama a proposito della famosa analisi di Hanna Arendt sul nazismo, ma c’è anche la banalità del bene che ora viene riconosciuta e riportata a nuova vita perché aiuta la convivenza civile di ogni giorno.

Quali i valori e le passioni del nuovo corso? Ci sono quelle che Remo Bodei chiama le “passioni grigie”, l’onestà, l’onore, il rispetto di sé e degli altri, far bene il proprio lavoro, non accettare corruzione e intimidazioni. Ma non c’è bisogno di un prontuario delle buone intenzioni per far rivivere tali valori “grigi” che si sono spenti e sono stati appannaggio in passato anche di uomini dichiaratamente di destra, come Paolo Borsellino e Giorgio Ambrosoli, uccisi dalla mafia.

Le passioni grigie, la banalità del bene, il senso del bene comune dovrebbero avere un carattere prepolitico che non ha nulla a che fare con la destra e la sinistra. Se se ne parla come di un obiettivo da raggiungere o da recuperare, se le posizioni di Fini diventano una scoperta persino per la sinistra, vuol dire che qualcosa non va. La vera riflessione – sembra che Fini l’abbia fatta con un certo ritardo - è se tali valori siano stati ancora più intaccati dal berlusconismo di questi anni e dal cattivo esempio di chi ci governa. Nel suo saggio non lo dice. Ma nessuno ci assicura che con questa destra e con questa sinistra le cose sono destinate a migliorare.

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