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I risultati di un concorso per magistrati

Ignoranti con la toga

Ennesima umilizione per la giustizia italiana.Quando un'inversione di rotta?

di Davide Giacalone - 07 gennaio 2008

Al concorso per diventare magistrati c’è chi scrive scuola con la “q” ed un numero impressionante di candidati inanella sfondoni grammaticali, sintattici e concettuali. La notizia vera è che sono stati individuati e bocciati, perché che ci siano laureati in giurisprudenza sostanzialmente analfabeti (taluni dei quali tentano di diventare avvocati con concorsi truccati, per par condicio di toghe ruspanti), non è una novità. Neanche sarebbe nuova la notizia che riescono a passare l’esame, avviando poi una carriera che li porterà ad essere giudici di cassazione, senza più altri controlli seri e frequenti di competenza ed aggiornamento. Qui si è detto e ripetuto che l’istruzione incapace di formare e selezionare, la scuola e l’università non meritocratiche, sono delle gran fregature per i giovani. E si è anche sostenuto, un’infinità di volte, che mettere la toga sulle spalle dei somari (e tenercela) serve solo ad umiliare la già disastrata giustizia italiana. Ma non si fa nulla per invertire la rotta. Ogni volta che si propongono controlli seri sulla preparazione dei magistrati la corporazione insorge e ripete: se passassimo il tempo a studiare non potremmo lavorare. Come se le due cose possano essere considerate alternative. Ed ogni volta che abbiamo proposto la cancellazione del valore legale del titolo di studio e la concorrenza fra scuole ed università siamo stati guardati come eccentrici esterofili, quando non occulti difensori d’interessi privati. Invece è solare la continua devastazione di sapere che, in Italia, si conduce nell’istruzione e nelle professioni, col risultato di renderci tutti più poveri e più incivili.

Facciamo un esempio: quelli che sono andati a scuola senza neanche riuscire a leggere il cartello all’ingresso e si sono poi laureati senza sapere leggere e scrivere, hanno un titolo di studio rilasciato da qualche università, hanno sostenuto degli esami, hanno scritto (si fa per dire) una tesi di laurea, seguiti da un professore, ebbene, tutta la catena dell’ignoranza merita d’essere denunciata e messa sotto inchiesta. Non lo si farà, naturalmente, perché qui tutto si tollera tranne che l’essere responsabili di qualche cosa. E non lo si farà anche per un altro motivo. Insomma, uno dei più noti magistrati italiani, Antonio Di Pietro, non ha solo condotto una lunga e strenua battaglia contro la lingua italiana, ma è anche passato per una cattedra universitaria da dove insegnava il contrario di quel che è scritto nella legge (mi riferisco, ad esempio, al dovere del pubblico ministero di raccogliere prove a favore dell’indagato). L’università di Castellanza non è stata, per questo, additata al pubblico ludibrio, e lui stesso non è stato marchiato d’ignoranza, ma, semmai, di colorito eloquio. Infine è divenuto ministro, per ben due volte. Con esempi di questo tipo che razza d’incentivo credete che possa esserci a studiare? Anzi, s’è innescata l’emulazione, moltiplicando i magistrati bestia che si cercano l’inchiesta che li faccia finire sui giornali. Poi, magari, il povero cittadino sarà difeso da un avvocato che di tali geni è stato collega di studi, talché questa resta l’unica eguaglianza fra le parti che la bancarotta giudiziaria offre.

www.davidegiacalone.it

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