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Idea Ciocca

Si chiami una personalità culturalmente vicina alla sinistra, ma non organica ad essa, e si cerchi di fargli fare un governo di salvezza nazionale a termine. Chi? Pierluigi Ciocca

di Enrico Cisnetto - 08 marzo 2013

Magari fosse così. Una volta tanto non sono d’accordo con Mario Draghi: le condizioni da lui evocate – “in Italia il risanamento va avanti con il pilota automatico” – non esistono. E, inoltre, intendiamoci su cosa significa che “i mercati sono meno impressionati rispetto ai media ed ai politici dal voto italiano, perché capiscono che si tratta di democrazia”. Io penso che dell’ingovernabilità che da quel risultato è scaturita ne siano assai contenti, per la speculazione si aprono magnifiche possibilità di guadagno. Come testimonia l’incredibile giudizio – “risultato abbastanza entusiasmante, segnale dell’inizio di qualcosa di nuovo” – che il numero uno della Goldman Sachs, Jim O’Neill, ha sparato parlando del successo di Grillo.

Sia chiaro, capisco benissimo il motivo per cui il governatore della Bce ha pronunciato quelle parole: evitare che si diffonda il panico da spread (che infatti è sceso a 310 punti). Ma quanto può durare? Ignazio Visco, in colloqui riservati, ha sostenuto che i mercati ci avrebbero dato due settimane di tempo dal momento in cui si sono chiuse le urne, perché quello è il tempo massimo che in un paese normale s’insedia il nuovo parlamento e si elegge il nuovo governo. Ma noi un paese normale non lo siamo mai stati, tant’è vero che di settimane ce ne vogliono tre solo per convocare le Camere, cui si deve aggiungere il tempo che ci vuole per formare i gruppi parlamentari ed eleggere i presidenti dei due rami del Parlamento. Cosa intendeva dire il governatore di Bankitalia?

La risposta è evidente: Visco, intendeva richiamare l’attenzione di chi ha in mano le sorti di questa drammatica partita, sul fatto che i mercati siano pronti ad attaccare i titoli del nostro debito pubblico non appena l’evidenza dell’ingovernabilità fosse conclamata. E ciò sia nel caso che si dovesse arrivare ad governo privo di fiducia – cioè che porterebbe ad elezioni subito e per di più senza avere la possibilità di modificare la legge elettorale – ma sia anche di fronte ad esecutivo senza alcuna prospettiva di durata. Non aspettano altro, perché dovrebbero rinunciarci? Certo, altro sarebbe se ci fossero le condizioni perché accada quello che lo stesso Draghi ha auspicato: un programma basato su “un pacchetto di riforme da unire al consolidamento di bilancio in atto”. Ma è inutile che ci prendiamo in giro, trattasi di condizione inesistente. Non è una possibilità reale se andrà avanti la linea della cecità varata ieri dal Pd di Bersani – con il colpevole assenso (o assenza) di tutte le componenti interne – ma non lo sarebbe neppure se passasse il compromesso Pd-Pdl che io comunque auspico e considero come l’unica possibilità per evitare la catastrofe. Un governo figlio di quello che giustamente D’Alema ha chiesto ai suoi compagni di smetterla di chiamare “inciucio”, non avrebbe altro orizzonte che una manciata di mesi per varare una nuova legge elettorale (io aggiungo, ma con speranze moderate, anche la convocazione di un’Assemblea Costituente) e gestire senza danno la congiuntura economica. Inutile credere che una cosa sin qui avversata dal segretario del Pd e vittima del ruolo oggettivamente “ingombrante” di Berlusconi, possa fare di più. Anzi, pretenderlo sarebbe il modo migliore per farla abortire in partenza. Ma se anche non varasse quel “pacchetto di riforme” auspicato da Draghi, almeno avrebbe la possibilità di calmierare lo spread, in attesa di tempi migliori. In assenza di ciò, si metta già in conto che torneremo nella condizione del novembre 2011 e che sarà necessario chiedere l’aiuto della Bce e del Fondo Monetario.

Per questo, non vorrei essere nei panni del Capo dello Stato. A questo punto, di fronte all’insensatezza di chi insiste per un accordo impossibile (e comunque pericoloso) con Grillo, i nostri destini sono solo nelle sue mani. La saggezza fin qui mostrata fa sperare che anche in questa “nebbia” – come lui stesso ha definito la condizione in cui è costretto a muoversi – sappia trovare la strada giusta. Gli osservatori più intelligenti, tra tutti Stefano Folli, sottolineano come in realtà l’unanimismo della direzione del Pd sia finto e che dietro si celi l’aver ottenuto da Bersani la rinuncia a continuare ad indicare, come aveva fatto fino all’altroieri, le elezioni come unica alternativa in caso di fallimento della sua strategia degli “otto punti”. È probabile che le cose siano andate così, e con pragmatismo si può anche convenire che sia meglio di niente. Ma di fronte al pericolo, questa è una foglia di fico che non regge. Non posso e non voglio suggerire il da farsi a Napolitano – che, torno a ribadire, è indispensabile che rimanga al Quirinale – ma non possiamo buttare via tempo prezioso per esperire tentativi che non hanno chance. Si chiami una personalità culturalmente vicina alla sinistra, ma non organica ad essa, e si cerchi di fargli fare un governo di salvezza nazionale a termine. Chi? Io un nome in testa ce l’ho: Pierluigi Ciocca, ex vicedirettore generale di Bankitalia ora in pensione, uomo di solida cultura azionista e di studi giuridici oltre che economici, dopo Baffi l’unico accademico dei Lincei a non essere professore ordinario.

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