La nomenklatura Ds si assottiglia ancora
I volenterosi dell’antipolitica
Un ulteriore nuovo segnale di disaffezione dalla logica di questo bipolarismodi Elio Di Caprio - 18 gennaio 2007
L’eterogenesi dei fini è andata oltre quanto si prefiggeva la nuova (e già vecchia) legge elettorale – la famosa “porcata” di Calderoni – studiata apposta per rendere meno pesante la prevista sconfitta del centrodestra di Berlusconi.
Il paradosso è che l’esiguità numerica che ha consentito al centrosinistra una vittoria di misura, non ha dato il via, come pure si poteva prevedere con altri esiti, ad un rimescolamento delle carte all’interno del centrodestra e del centrosinistra, ma ha prodotto il risultato opposto di rinsaldare l’immobilismo.
Se non per convincimento, almeno per istinto di sopravvivenza, chi potrebbe abbandonare oggi la barca politica della propria parte senza danno, visto che il quasi pareggio può far sperare al centrodestra, così com’è, un’improbabile rivincita in tempi ravvicinati? Tanto vale – e questo riguarda specularmente entrambe le coalizioni – tenersi le proprie contraddizioni e restare uniti per il potere o per il contro-potere.
I chiarimenti vengono rimandati a tempi migliori. Per il momento vale la pena solo esercitarsi a rinfacciarsi vicendevolmente gli errori passati e presenti.
La tentazione populista, antipolitica e qualunquista – più volte richiamata dai politici più avvertiti e responsabili, a partire dal capo dello Stato, come un pericolo da non sottovalutare – è sempre dietro l’angolo, ma fino a quando non esplode in maniera incontrollata è sempre meglio destreggiarsi tra gli estremismi in agguato, addomesticando i messaggi alle esigenze del momento. Il Palazzo di sinistra, di lotta e di governo, fa fatica, più di quello di destra, a disciplinare le divergenze interne, cavalca disinvoltamente le proprie contraddizioni, non può più ricorrere ad un antiberlusconismo di maniera dopo averne fatto abbondantemente uso. E’ ora “nudo” di fronte ai problemi più insidiosi, dalle pensioni al lavoro precario, dopo aver accusato il centrodestra di aver fatto poco e male per risolvere tali questioni. Il rischio, appunto da non sottovalutare, è che si acuisca non tanto e non solo il distacco del Palazzo di sinistra dal suo tradizionale elettorato, quanto che aumenti il progressivo scollamento dall’opinione pubblica nel suo insieme, sempre più irritata per le tante promesse fatte a vuoto in campagna elettorale. I segnali sono tanti e convergenti. Come uscire da una situazione sempre più bloccata e su spinta di chi o di quali circostanze?
Ci provano per il momento alcuni DS delusi, che non credono più nel comunismo e tanto meno nel partito democratico, ci ha provato e prova timidamente Casini sull’altro versante, ma sono movimenti più che altro elitari e di assaggio, senza seguito popolare, mancano di una strategia precisa, esprimono un malessere ma sono lontani dal proporre un’alternativa. Né si può dire, utilizzando i tradizionali schemi interpretativi, che la presa di distanza o la fuoruscita, appena iniziata, di certi personaggi dai rispettivi schieramenti avvenga a destra o a sinistra. Non anticipano un cataclisma, testimoniano semplicemente una sempre più marcata insofferenza a questo posticcio bipolarismo. Si pongono in lista d’attesa in un’area “riformista”. Altra cosa poi è il sempre più difficile passaggio concettuale dalle riforme genericamente auspicate alla scelta delle riforme per le quali valga la pena effettivamente battersi, a destra come a sinistra. E’ vero che sta crescendo l’antipolitica, ma non in senso letterale: forse sta crescendo il disorientamento dovuto proprio ai ritardi con cui il ceto politico si sta adattando ai tempi cambiati nei quali gli stessi concetti di destra e di sinistra tradizionali avrebbero bisogno di una notevole rivisitazione. Ma poi la base, l’opinione pubblica, non è in grado di indicare nuove strade senza l’aggregazione di forze che ne prendano la guida. Di qui il pericolo di un nuovo populismo.
L’insofferenza e lo scontento di larghi ceti non trovano canali d’espressione in nuovi antagonismi globali, come poteva succedere fino a trenta anni fa, quando – ce lo ricorda Lucia Annunziata nel suo ultimo volume sull’anniversario del 1977 in Italia – dopo le effervescenze del ‘68 subentrò la cupa disperazione dei precari del lavoro e dello studio di allora. Siamo d’altronde abbastanza smaliziati da non attenderci vistosi cambiamenti di purificazione o nuovi sconvolgimenti presuntamente etici come è successo con la Tangentopoli degli anni ‘90. E’ difficile oggi in Italia resuscitare passioni antagoniste o etiche. Predomina il disincanto che certamente non è il terreno più propizio per tutti i “volenterosi” all’opera per riformare se non rivoluzionare gli attuali assetti politici che stancamente si trascinano nelle loro infinite contraddizioni. Ma una via d’uscita va trovata, prima che il quadro politico venga lacerato ancor più per l’assenza di un’alternativa all’immobilismo delle due coalizioni di centro-sinistra e di centro-destra. Forse i “volenterosi” che si distaccano dai partiti, i politici senza-partito vogliono segnalare proprio questo.
La tentazione populista, antipolitica e qualunquista – più volte richiamata dai politici più avvertiti e responsabili, a partire dal capo dello Stato, come un pericolo da non sottovalutare – è sempre dietro l’angolo, ma fino a quando non esplode in maniera incontrollata è sempre meglio destreggiarsi tra gli estremismi in agguato, addomesticando i messaggi alle esigenze del momento. Il Palazzo di sinistra, di lotta e di governo, fa fatica, più di quello di destra, a disciplinare le divergenze interne, cavalca disinvoltamente le proprie contraddizioni, non può più ricorrere ad un antiberlusconismo di maniera dopo averne fatto abbondantemente uso. E’ ora “nudo” di fronte ai problemi più insidiosi, dalle pensioni al lavoro precario, dopo aver accusato il centrodestra di aver fatto poco e male per risolvere tali questioni. Il rischio, appunto da non sottovalutare, è che si acuisca non tanto e non solo il distacco del Palazzo di sinistra dal suo tradizionale elettorato, quanto che aumenti il progressivo scollamento dall’opinione pubblica nel suo insieme, sempre più irritata per le tante promesse fatte a vuoto in campagna elettorale. I segnali sono tanti e convergenti. Come uscire da una situazione sempre più bloccata e su spinta di chi o di quali circostanze?
Ci provano per il momento alcuni DS delusi, che non credono più nel comunismo e tanto meno nel partito democratico, ci ha provato e prova timidamente Casini sull’altro versante, ma sono movimenti più che altro elitari e di assaggio, senza seguito popolare, mancano di una strategia precisa, esprimono un malessere ma sono lontani dal proporre un’alternativa. Né si può dire, utilizzando i tradizionali schemi interpretativi, che la presa di distanza o la fuoruscita, appena iniziata, di certi personaggi dai rispettivi schieramenti avvenga a destra o a sinistra. Non anticipano un cataclisma, testimoniano semplicemente una sempre più marcata insofferenza a questo posticcio bipolarismo. Si pongono in lista d’attesa in un’area “riformista”. Altra cosa poi è il sempre più difficile passaggio concettuale dalle riforme genericamente auspicate alla scelta delle riforme per le quali valga la pena effettivamente battersi, a destra come a sinistra. E’ vero che sta crescendo l’antipolitica, ma non in senso letterale: forse sta crescendo il disorientamento dovuto proprio ai ritardi con cui il ceto politico si sta adattando ai tempi cambiati nei quali gli stessi concetti di destra e di sinistra tradizionali avrebbero bisogno di una notevole rivisitazione. Ma poi la base, l’opinione pubblica, non è in grado di indicare nuove strade senza l’aggregazione di forze che ne prendano la guida. Di qui il pericolo di un nuovo populismo.
L’insofferenza e lo scontento di larghi ceti non trovano canali d’espressione in nuovi antagonismi globali, come poteva succedere fino a trenta anni fa, quando – ce lo ricorda Lucia Annunziata nel suo ultimo volume sull’anniversario del 1977 in Italia – dopo le effervescenze del ‘68 subentrò la cupa disperazione dei precari del lavoro e dello studio di allora. Siamo d’altronde abbastanza smaliziati da non attenderci vistosi cambiamenti di purificazione o nuovi sconvolgimenti presuntamente etici come è successo con la Tangentopoli degli anni ‘90. E’ difficile oggi in Italia resuscitare passioni antagoniste o etiche. Predomina il disincanto che certamente non è il terreno più propizio per tutti i “volenterosi” all’opera per riformare se non rivoluzionare gli attuali assetti politici che stancamente si trascinano nelle loro infinite contraddizioni. Ma una via d’uscita va trovata, prima che il quadro politico venga lacerato ancor più per l’assenza di un’alternativa all’immobilismo delle due coalizioni di centro-sinistra e di centro-destra. Forse i “volenterosi” che si distaccano dai partiti, i politici senza-partito vogliono segnalare proprio questo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.