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Nuovo soggetto politico o vuoto da colmare?

I turbamenti del compagno Fini

Il presidente della Camera appare sempre più confuso

di Marco Scotti - 20 ottobre 2010

Da un lato Galli Della Loggia che lo bombarda, dall’altro la sua creatura che inizia a scollarsi. Non è un bel periodo per Gianfranco Fini, che, da quando ha puntato il dito contro Berlusconi al congresso del Pdl sembra sempre sull’orlo di cadere, ogni volta con maggiore fragore. Prima le vicende personali, tra compagne rampanti e cognati arrivisti; poi le vicende con la stampa “di regime” e gli attacchi frontali di Feltri e Belpietro; quindi la richiesta di dimissioni fatta a più riprese dai suoi (ex) alleati.

Infine, ieri, in un colpo solo, due ganci niente male: prima Galli Della Loggia che, dopo avergli chiesto conto del suo passato di leader di una coalizione “neo-fascista”, gli ricorda che se è vero che solo gli stupidi non cambiano idea, lo è ancora di più che per dimostrare di aver cambiato idea è necessario pronunciare frasi del tipo “è vero, ho sbagliato”, “rinnego il mio passato”. Cosa che Fini non ha mai fatto. Poi, la sua coalizione che vota a favore della retroattività del Lodo Alfano, dopo mesi di dichiarazioni di guerra sul tema giustizia.

Ecco, il peccato esiziale di Fini, che gli sta impedendo di sdoganarsi dal Pdl e di dare vita a una formazione indipendente, è che è vittima della logica che – per dirla con Crozza – risponde al nome di “ma anche”. Già perché Fini è stato leader di una coalizione neo-fascista ma anche fondatore di un partito in seno al PPE. Ma anche, aggiungiamo noi, capitano di una nuova formazione che dovrebbe rappresentare una destra europeista. Fini è di destra, ma anche di centro; conservatore ma anche riformista.

E poi diciamolo, non ci va proprio giù il cambiamento continuo sul tema della giustizia. Si parte con “saremo sempre fedeli al Pdl”; ma anche “non voteremo mai leggi ad personam”; ma anche “voteremo la retroattività del Lodo Alfano”. In buona sostanza, un cerchiobottismo d’annata, che mal si sposa con un leader che vorrebbe proporre qualcosa di nuovo. Senza contare che sulle possibili alleanze, in caso di caduta dell’attuale esecutivo, si è detto tutto e il contrario di tutto: con il Pd, ma anche con Casini; con Montezemolo, ma anche con Vendola. Un guazzabuglio che puzza di bruciato: si sta tentando di proporre un soggetto politico nuovo o, semplicemente, si cerca di inserirsi in quei vuoti che il bipolarismo – o, per meglio dire, il bipartitismo – ha lasciato? Un partito che ricorda più il silicone piuttosto che una forza nuova (e mi perdonino i simpatizzanti del movimento dell’ultra destra se prendo in prestito il loro nome).

In ultima analisi poi, la contraddizione in seno a Fli è di voler avere una faccia nuova con nomi vecchi: Fini rinnega il suo passato neo-fascista, ma i suoi più fidati alleati (i cosiddetti falchi) sono tra i più accesi sostenitori dell’Almirantismo, che di certo non può essere definito europeista o moderato. I nomi? Menia e Granata, per esempio.

Il sottosegretario, d’altronde, dal palco di “Cortina InConTra”, ha dichiarato di essere figlio dell’onda di Almirante, e di sentirsi sempre e comunque “camerata”. Fini quindi ha un compito ben preciso: scegliere da che parte stare. Vuole dare una spallata al Governo? Allora non voti provvedimenti ad personam che aveva dichiarato di non voler sostenere non più tardi di qualche settimana fa.

Oppure, se preferisce rientrare in seno alla maggioranza, forse perché intimidito dagli “scoop” sulla sua vita privata, lo dica chiaramente e smetta di fare dichiarazioni di guerra che sono solo di facciata. Basta che non si risolva, per l’ennesima volta, in un “ma anche”.

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