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Mondo del lavoro: l’esercito dei “Co.co.pro”

I sommersi e i somministrati

Lavoratori in prestito, a tempo determinato, o semplicemente precari semi-permanenti

di Lorenzo Lo Basso - 10 luglio 2007

Dal profondo formicaio che è l’attuale mondo del lavoro, sono in pochi ad uscire indenni, a trovare l’uscita giusta; si dovrebbe dire sbocco, prospettiva, ma non è così. La situazione, ben fotografata dall’Istat e dal Censis, sperimentata della maggior parte dei ragazzi nel mondo del lavoro, non è infatti quella di un’apertura sul mondo, di un affaccio sulla vita, bensì si tratta di un cunicolo pieno di insidie: ex “Co.co.co”, ora “Co.co.pro”, somministrazione, determinato, inserimento, apprendistato, formazione lavoro. L’occupato – non occupato segue un iter abbastanza comune, iniziando a lavoricchiare durante lo studio, per pagarsi le vacanze, o magari la moto, ma non si rende conto, fino al secondo o terzo anno consecutivo, dell’effettiva e quasi ineludibile, ciclicità del fenomeno.

Prima impiegato sei mesi, poi tre a casa, poi altre quattro settimane in azienda, poi data entry, poi la stagione estiva passata metà in ferie forzate, metà come assistente in un call center. Chi entra nel tunnel del lavoro precario difficilmente ne esce, sia per ovvie ragioni di formazione ed esperienza – sono insufficiente pochi mesi per creare una vera professionalità – sia perché non si ha il minimo dominio sulla propria vita. Questa, più che seguire un filo minimamente definito, è ostaggio della momentaneità. Vengono meno le sicurezze, la necessaria possibilità di programmazione, ma soprattutto a calare alla fine è la fiducia. Non di rado un occupato – non occupato passa dalla frustrazione alla rabbia, e dalla rabbia alla rassegnazione, fenomeno certificato dal calo delle iscrizioni nelle liste di collocamento e disoccupazione. In primo luogo a cedere è quella fiducia che solitamente si ripone nel sistema, sociale e paese; a seguire cala la fiducia nel lavoro stesso come mezzo di affrancamento dal bisogno e di affermazione personale. Quindi a subire una dura, forte, ma soprattutto, costante, erosione è l’autostima. Sentendosi incapaci a trovare il lavoro giusto, inadeguati ed insoddisfacenti, i ragazzi lentamente lasciano scivolare via i sogni e le ambizioni, andando avanti per inerzia, giorno per giorno, in un limbo fatto di insofferenza e insoddisfazione.

Una società che permette questo non fa altro che castrare se stessa, privandosi, non solo dei cervelli, ma anche delle braccia che un domani la dovranno nutrire e sostenere, dato che oramai la parola crescita è ben oltre l’utopia. Questa generazione di “under 35” è la prima dal dopoguerra ad avere mezzi e prospettive inferiori in termini di benessere, ma soprattutto di qualità della vita, delle precedenti, e tale scollamento diviene sempre più evidente. Da qui la necessità assoluta di implementare politiche sociali di sostegno e nuovi ammortizzatori sociali: agevolazioni fiscali davvero consistenti nei primi anni di attività economico lavorativa, bonus ai nuovi nuclei familiari, incentivi alle nascite, mutui sociali. E sia ben chiaro che non si tratta di regali, né tantomeno di rivendicazioni aprioristiche, bensì di opportunità che una società avanzata, basata sulla socialità e sulla tutela dei diritti, deve offrire.

Se non si è capaci di tenere fede a quei valori su cui il vivere comune è stato fondato ai tempi dei Padri Costituenti e rafforzato dalle molte conquiste civili degli ultimi cinquant’anni, meglio non abusare della definizione di Welfare state, ne andrà benissimo anche un’altra meno impegnativa.

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