Lenti a crescere, svelti a retrocedere
I riflessi pronti dell’Italia
Operatori economici incapaci di cogliere la congiuntura internazionale positiva. Perché?di Alessandro D'Amato - 23 gennaio 2006
Quando si dice avere i riflessi pronti, ma solo in alcune occasioni. Nel Punto di Giuseppe Turani su Affari&Finanza di oggi si cita un rapporto Barclays sulla crescita dell’Italia, dal quale si “scopre” che il nostro paese è sempre agli ultimi posti nella crescita. Non è una novità, certo; anzi: ormai la situazione rientra nella categoria più generale della “normalità europea”. Da tantissimi anni l’Italia è in fondo alla graduatoria, con dietro di sé solo il Portogallo. Tutti gli altri sono molto avanti, con la Spagna che viaggia a ritmi lusinghieri (+3,4%) e una media europea del 2,2%.
La spiegazione a questi dati spesso viene data usando la congiuntura: quando gli altri crescono, anche l’Italia cresce, quando gli altri calano, anche il nostro paese lo fa. Un po’ come un vagone un po’ in difficoltà che si attacca al treno e lo segue con fatica. Ma con una peculiarità molto caratteristica, e tipica ormai (visto che sembra che si ripeta da quando esistono le statistiche...): quando gli altri crescono, l’Italia cresce meno degli altri, quando gli altri sono in crisi, l’Italia va più in crisi degli altri.
Una volta si diceva inoltre che l’Italia era rapida nell’imbarcare l’inflazione proveniente da fuori (dall’aumento del prezzo delle materie prime, ad esempio), e invece lentissima nello sbarcarla. E adesso siamo invece lenti quando si tratta di cogliere la buona congiuntura internazionale e troppo svelti quando si tratta di mollarla. Abbiamo riflessi veloci, ma condizionati, insomma: quando volge al brutto, ci adeguiamo rapidamente; quando volge al bello ce ne dimentichiamo.
Tutto ciò in spregio alla teoria della condivisione delle informazione, che dice che gli operatori presenti in un sistema economico si muovono tanto più all’unisono quanto più le informazioni a disposizione di chi prende le decisioni sono a disposizione di tutti. Al contrario noi siamo reattivi quando le informazioni sono negative, e invece con fatica ci accorgiamo del treno che parte. A questo punto immaginiamo proprio “l’operatore economico-tipo” italiano che, quando arrivano brutte notizie, si sbriga a diminuire la produzione e a ricorrere alle scorte, mettendo al sicuro dai costi maggiori e aspettando che passi l’inverno del suo scontento. Invece, quando le notizie sono buone, verrebbe da dire che preferiamo che a partire siano prima gli altri, accodandoci sono quando siamo sicuri che non si trattava di una falsa partenza. In questo modo ci perdiamo però l’inizio della corsa, con tutto il deficit di crescita che ne consegue.
Riflessi pronti in un caso; lenti nell’altro: perché? E’ ovvio che il problema è in chi prende le decisioni, e cioè in primo luogo negli imprenditori italiani, che presentano scarsissima propensione al rischi. Questo porta tutta una serie di conseguenze: si innova più tardi, si aggrediscono mercati proficui più tardi, si rallentano i processi decisionali. Tutti impegnati in difesa del proprio orticello, i capitalisti italiani attendono sempre troppo prima di muoversi. Ed ecco il deficit di competitività. In secondo luogo, arriva la responsabilità della politica, che non è in grado di “mostrare la via”, di essere una guida non dal punto di vista dirigistico, ma proprio da quello che le riuscirebbe più facile: il lato della proposta.
Anche qui, punti d’arrivo non troppo originali e soluzioni non certo originali. Eppure il dato impressionate è che, da qualsiasi punto di vista la si guardi (partendo dai dati del pil, dall’analisi dell’offerta, dalla congiuntura internazionale), la situazione italiana pare avere sempre le stesse conclusioni. Nessuno, però, che se ne (pre)occupi. Nemmeno per sbaglio.
La spiegazione a questi dati spesso viene data usando la congiuntura: quando gli altri crescono, anche l’Italia cresce, quando gli altri calano, anche il nostro paese lo fa. Un po’ come un vagone un po’ in difficoltà che si attacca al treno e lo segue con fatica. Ma con una peculiarità molto caratteristica, e tipica ormai (visto che sembra che si ripeta da quando esistono le statistiche...): quando gli altri crescono, l’Italia cresce meno degli altri, quando gli altri sono in crisi, l’Italia va più in crisi degli altri.
Una volta si diceva inoltre che l’Italia era rapida nell’imbarcare l’inflazione proveniente da fuori (dall’aumento del prezzo delle materie prime, ad esempio), e invece lentissima nello sbarcarla. E adesso siamo invece lenti quando si tratta di cogliere la buona congiuntura internazionale e troppo svelti quando si tratta di mollarla. Abbiamo riflessi veloci, ma condizionati, insomma: quando volge al brutto, ci adeguiamo rapidamente; quando volge al bello ce ne dimentichiamo.
Tutto ciò in spregio alla teoria della condivisione delle informazione, che dice che gli operatori presenti in un sistema economico si muovono tanto più all’unisono quanto più le informazioni a disposizione di chi prende le decisioni sono a disposizione di tutti. Al contrario noi siamo reattivi quando le informazioni sono negative, e invece con fatica ci accorgiamo del treno che parte. A questo punto immaginiamo proprio “l’operatore economico-tipo” italiano che, quando arrivano brutte notizie, si sbriga a diminuire la produzione e a ricorrere alle scorte, mettendo al sicuro dai costi maggiori e aspettando che passi l’inverno del suo scontento. Invece, quando le notizie sono buone, verrebbe da dire che preferiamo che a partire siano prima gli altri, accodandoci sono quando siamo sicuri che non si trattava di una falsa partenza. In questo modo ci perdiamo però l’inizio della corsa, con tutto il deficit di crescita che ne consegue.
Riflessi pronti in un caso; lenti nell’altro: perché? E’ ovvio che il problema è in chi prende le decisioni, e cioè in primo luogo negli imprenditori italiani, che presentano scarsissima propensione al rischi. Questo porta tutta una serie di conseguenze: si innova più tardi, si aggrediscono mercati proficui più tardi, si rallentano i processi decisionali. Tutti impegnati in difesa del proprio orticello, i capitalisti italiani attendono sempre troppo prima di muoversi. Ed ecco il deficit di competitività. In secondo luogo, arriva la responsabilità della politica, che non è in grado di “mostrare la via”, di essere una guida non dal punto di vista dirigistico, ma proprio da quello che le riuscirebbe più facile: il lato della proposta.
Anche qui, punti d’arrivo non troppo originali e soluzioni non certo originali. Eppure il dato impressionate è che, da qualsiasi punto di vista la si guardi (partendo dai dati del pil, dall’analisi dell’offerta, dalla congiuntura internazionale), la situazione italiana pare avere sempre le stesse conclusioni. Nessuno, però, che se ne (pre)occupi. Nemmeno per sbaglio.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.