In risposta all’articolo di Davide Giacalone
I radicali non si sono arresi
L’“assemblea dei mille” svoltasi dopo il referendum dimostra la voglia di rilanciodi Gualtiero Vecellio - 28 giugno 2005
Ne sono certo: l’amico Davide Giacalone non se la prenderà – e capirà senz’altro lo spirito con cui lo dico, spero condividendolo – se dico “crepi l’astrologo”, dopo aver letto il suo “Il Partito d’Azione Pannelliana”. E ai radicali dia più credito di quanto non mostra di fare e non me ne voglia se dico che è una rappresentazione ingenerosa, quella che dà quando scrive che occorre svegliarsi “dall’incantesimo che li vede vivere in un mondo loro, felici dell’aver ragione e darsela a vicenda”. Una storiella dice che se si mettono insieme due ebrei si hanno tre opinioni. Vale anche per i radicali, se poco poco si ha voglia e tempo di scorticare il facile e scontato luogo comune che li vuole sempre e comunque proni ai voleri e ai dettami pannelliani. Nessuno, a Torre Argentina, sogna, si illude; è anzi, quella radicale, una scuola di pragmatismo e realismo per eccellenza. Ma non è di questo che mi preme, qui e ora, parlare. Prima però di affrontare quella che credo sia la carne del problema, un inciso che a ben vedere è qualcosa di più di un inciso: il rimprovero di voler tacitare le gerarchie ecclesiastiche, cardinali, vescovi, parroci a suon di denunce penali. “Se un carabiniere si presenta a chiuder la bocca ad un parroco, io difendo il parroco”, scrive Giacalone. Vediamo. Esistono delle leggi, dei trattati, dei concordati. Sono superati, anacronistici, illiberali? E’ possibile, probabile. Ma sono legge. Allora il parroco, il vescovo, il cardinale, lo stesso pontefice, io li difendo quando, con scienza e coscienza, violano palesemente e deliberatamente la legge, e si dichiarano pronti a subirne le conseguenze, per farne esplodere in questo modo le contraddizioni. Ma se così non è, se il loro ragionamento è simile a quello di chi vuole la moglie ubriaca e la botte piena, allora la mia difesa mi si strozza in gola. Per dire: denuncino il Concordato, rinuncino ai vantaggi e ai privilegi che questo comporta, e poi facciano pure quello che credono, vogliono e sanno. Ma se si ritiene il Concordato valido, allora lo si deve rispettare, anche in quegli aspetti che possono in una determinata situazione, tornare meno utili e comodi. E visto che siamo in tema: chi e cosa impedisce ai numerosi critici delle iniziative giudiziarie radicali, di spuntar loro le unghie, assumendo iniziative che superino leggi e norme che non si ritengono più coerenti con il “comune sentire”? Lo si faccia, così la questione viene chiusa una volta per tutte. Però fino a quando una legge c’è, mi par stravagante che si teorizzi che non deve essere applicata, e si critichi chi sostiene che deve essere rispettata.
Chiuso l’inciso, eccomi alla polpa dei problemi che il referendum ha messo sul tappeto. Dovessi definire il dibattito all’“Assemblea dei Mille” che ci siamo appena lasciati alle spalle, userei il termine: fecondo. Sono stati tre giorni ricchi di confronto e di riflessione, primi – certo parzialissimi – tentativi di analizzare quel che è accaduto; e ci si è interrogati su quel che si può e si deve fare ora, e con chi. Sarebbe stato ingenuo e presuntuoso attendersi delle risposte, che pure non sono mancate, per forza di cose parziali, abbozzate. Importante però è essersi trovati insieme per formulare domande; e aver trovato con noi, disposti a lavorare con noi, altri che hanno deciso di percorrere un tratto di strada: personaggi di quella comunità scientifica che non capita spesso di veder impegnata in prima persona. Le relazioni che hanno introdotto i lavori, ma anche i singoli interventi di tante persone costituiscono un materiale prezioso, per una ulteriore riflessione e ricerca di comprensione di quel che è stato e dei perché.
Ci sono una quantità di problemi interni, di difficoltà concreta, in cui si dibatte l’area radicale, e che costituiscono un’enorme palla al piede per l’iniziativa politica dell’oggi e del domani; e non manca la quotidiana attualità a richiamarci all’urgenza e alla necessità di iniziative radicali. Per dirne una: la giustizia. Non è avvilente assistere a un esecutivo che nulla di meglio e di più sa dire e sa fare se non che non condivide il dire e il fare del suo Guardasigilli? C’è la questione delle carceri, ogni giorno più urgente; è il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria ad ammettere ora come la situazione sia diventata esplosiva, e a confessare come si sia impotenti, a “governare” e risolvere la situazione. Giacalone in coscienza può dire che a fronte di questa situazione ci si sta comportando in maniera responsabile? Si è appena conclusa la kermesse di Pontida, nel corso della quale il ministro della Giustizia Roberto Castelli e i suoi compagni di Carroccio hanno fatto a gara a chi ce l’ha “più duro”; ritengono che sarà pagante in termine elettorali vellicare la loro base facendo leva sugli istinti peggiori, in modo belluino. Ed è stato un fuoco pirotecnico di “trovate” (chiamiamole così, per amor di patria); ma insomma: la scempiaggine del ritorno alla lira, della doppia moneta lira-euro, del suo collegamento con il dollaro; gli attacchi pretestuosi al Capo dello Stato, le proposte di castrazione e giustizia sommaria per gli stupratori (non tutti, a quanto pare ci si inquieta e indigna solo se sono extracomunitari; mai sentito un fiat per gli oltre 2700 casi di stupro denunciati quest’anno, e di cui sono responsabili dei connazionali)… So bene che questa non è la destra che piace a Giacalone. Ma da questa componente del centro-destra non è giunto alcun apprezzabile segno di dissociazione. Anzi, un vice-presidente del Consiglio la blandisce e nei fatti sostiene.
Per tornare al referendum. Sarebbe certamente stolto se vi fosse qualcuno, come Giacalone scrive, che pensa di poter rappresentare politicamente il 25 per cento degli italiani che hanno votato. La questione è altra, ed è anche più complessa. C’è infatti da lavorare, con quanti vorranno farlo, in una “coalizione dei volenterosi” perché quello che da tempo è stato individuato come “il caso Italia” non sia archiviato, rimosso. I radicali, grazie al lavoro paziente e certosino di Marco Beltrandi, sono in grado di produrre una serie di dossier sullo stato della “conoscenza”, e il disatteso “diritto a sapere” che può essere definito solo in un modo: impressionante. Non tanto e non solo perché documentano come sia negato scientificamente a una forza politica, i radicali, il diritto all’identità e all’immagine; e si manipoli e si sfregi senso e portata delle iniziative politiche che si propongono al paese. Questo alla fine sarebbe il meno. Il fatto è che è in corso da tempo un’offensiva mediatica-clericale che ammorba e inquina molto più di quanto, forse, noi stessi ci rendiamo conto. Si prenda, per esempio una vicenda che non è rubricabile con la polemica politica, la tragedia dello tsunami che il 26 dicembre scorso ha spazzato via l’Oceano Indiano. Quella che segue è una piccola antologia di scempiaggini, un vero delirio di commenti “teologici”, che con assoluta tranquillità sono state dette, ripetute e amplificate senza che vi sia stata alcuna possibilità di replica:
“Anche nelle prove più difficili e dolorose, come nella calamità che ha colpito il Sud Est asiatico, Dio non ci abbandona mai” (Giovanni Paolo II, “Angelus” del 2 gennaio).
“Non è corretto chiamare lo tsunami un atto divino, perché Dio non è intervenuto a provocare il disastro. E non c’è niente in comune con il Giudizio universale, perché lo tsunami ha ucciso e distrutto a caso, e non soltanto i cattivi impenitenti” (cardinale George Pell, arcivescovo di Sydney, 9 gennaio).
“Vampata provvidenziale…sfolgorio di luce…momento di grande purificazione… occasione che Dio ci offre per cambiare mentalità…tragica bellezza di questo momento…”(cardinale Ersilio Tonini, 31 dicembre “Avvenire”).
“L’onda…è stata un ammonimento premonitore dei travagli cui l’umanità va incontro” (padre Livio Fanzaga, 14 gennaio, “Radio Maria”). “Quella che avete chiamato onda assassina non è un castigo di Dio, ma il suo grande abbraccio che porta in Paradiso tutti i suoi figli…” (padre Michele Catalano, “L’angolo del teologo Borel di gennaio”, sul sito www.donboscoland.it).
Caro Giacalone, se questo è vieto anticlericalismo d’antan, ebbene: evviva il vieto anticlericalismo d’antan.
Non so verso quale lido sono diretti i radicali. So che sarà un’estate “calda”, densa di impegni: Pannella ha lanciato l’idea di un nuovo Partito d’Azione, che valuti con scetticismo; Daniele Capezzone propone (non in alternativa, ma in integrazione) un seminario a settembre come ulteriore luogo e occasione di dibattito e riflessione, prima dell’annuale congresso di Radicali Italiani; ci sono poi gli scienziati che con l’associazione Luca Coscioni si stanno organizzando: dopo l’“inaudito” e silenziato sciopero della fame, ora si rivolgono con un documento politico, al presidente Ciampi; si lavora per l‘organizzazione di un “Congresso Mondiale per la libertà di ricerca, di scienza e coscienza”. E vorrà ben dire qualcosa che all’indomani del rovinoso risultato referendario, quasi duemila chirurghi della Society of Surgical Oncology e dell’American Society for the Study of Breast Diseases candidino il professor Umberto Veronesi (uno dei testimonial del SI) al premio Nobel? “Ha sfidato uno dei dogmi della medicina di allora e ha avuto ragione. Per anni considerato un traditore…dall’80 ad oggi due milioni di donne statunitensi sono guarite dal tumore salvando il seno grazie a lui”, la motivazione. E pone o no già fin da ora qualche problema, o riflessione, il fatto che dopo la bocciatura di fare ricerche sulle embrionali, i principali centri di medicina rigenerativa oggi, subito, abbiano ripreso i contatti con le aziende biotech nel mondo che “producono” queste cellule; e che il risultato più probabile, mancato business a parte, sarà una massiccia fuga di “cervelli” all’estero?
Non ci siamo ripiegati su noi stessi, non ci siamo esercitati nell’inconcludente pratica del crucifige, abbiamo avviato una discussione seria e concreta su “che fare”, “come fare”, “con chi fare”. Caro Giacalone: dici che è poco? E se viene anche quel mondo del centro-destra che ha sostenuto i referendum e fatto l’opzione a favore del SI, benvenuto, tappeto rosso in loro onore. Ma tu li vedi, sai dove sono finiti? Forse mi sarò distratto, ma all’Ergife non li ho né visti né sentiti.
Pubblicato sull’Opinione del 25 giugno 2005
Chiuso l’inciso, eccomi alla polpa dei problemi che il referendum ha messo sul tappeto. Dovessi definire il dibattito all’“Assemblea dei Mille” che ci siamo appena lasciati alle spalle, userei il termine: fecondo. Sono stati tre giorni ricchi di confronto e di riflessione, primi – certo parzialissimi – tentativi di analizzare quel che è accaduto; e ci si è interrogati su quel che si può e si deve fare ora, e con chi. Sarebbe stato ingenuo e presuntuoso attendersi delle risposte, che pure non sono mancate, per forza di cose parziali, abbozzate. Importante però è essersi trovati insieme per formulare domande; e aver trovato con noi, disposti a lavorare con noi, altri che hanno deciso di percorrere un tratto di strada: personaggi di quella comunità scientifica che non capita spesso di veder impegnata in prima persona. Le relazioni che hanno introdotto i lavori, ma anche i singoli interventi di tante persone costituiscono un materiale prezioso, per una ulteriore riflessione e ricerca di comprensione di quel che è stato e dei perché.
Ci sono una quantità di problemi interni, di difficoltà concreta, in cui si dibatte l’area radicale, e che costituiscono un’enorme palla al piede per l’iniziativa politica dell’oggi e del domani; e non manca la quotidiana attualità a richiamarci all’urgenza e alla necessità di iniziative radicali. Per dirne una: la giustizia. Non è avvilente assistere a un esecutivo che nulla di meglio e di più sa dire e sa fare se non che non condivide il dire e il fare del suo Guardasigilli? C’è la questione delle carceri, ogni giorno più urgente; è il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria ad ammettere ora come la situazione sia diventata esplosiva, e a confessare come si sia impotenti, a “governare” e risolvere la situazione. Giacalone in coscienza può dire che a fronte di questa situazione ci si sta comportando in maniera responsabile? Si è appena conclusa la kermesse di Pontida, nel corso della quale il ministro della Giustizia Roberto Castelli e i suoi compagni di Carroccio hanno fatto a gara a chi ce l’ha “più duro”; ritengono che sarà pagante in termine elettorali vellicare la loro base facendo leva sugli istinti peggiori, in modo belluino. Ed è stato un fuoco pirotecnico di “trovate” (chiamiamole così, per amor di patria); ma insomma: la scempiaggine del ritorno alla lira, della doppia moneta lira-euro, del suo collegamento con il dollaro; gli attacchi pretestuosi al Capo dello Stato, le proposte di castrazione e giustizia sommaria per gli stupratori (non tutti, a quanto pare ci si inquieta e indigna solo se sono extracomunitari; mai sentito un fiat per gli oltre 2700 casi di stupro denunciati quest’anno, e di cui sono responsabili dei connazionali)… So bene che questa non è la destra che piace a Giacalone. Ma da questa componente del centro-destra non è giunto alcun apprezzabile segno di dissociazione. Anzi, un vice-presidente del Consiglio la blandisce e nei fatti sostiene.
Per tornare al referendum. Sarebbe certamente stolto se vi fosse qualcuno, come Giacalone scrive, che pensa di poter rappresentare politicamente il 25 per cento degli italiani che hanno votato. La questione è altra, ed è anche più complessa. C’è infatti da lavorare, con quanti vorranno farlo, in una “coalizione dei volenterosi” perché quello che da tempo è stato individuato come “il caso Italia” non sia archiviato, rimosso. I radicali, grazie al lavoro paziente e certosino di Marco Beltrandi, sono in grado di produrre una serie di dossier sullo stato della “conoscenza”, e il disatteso “diritto a sapere” che può essere definito solo in un modo: impressionante. Non tanto e non solo perché documentano come sia negato scientificamente a una forza politica, i radicali, il diritto all’identità e all’immagine; e si manipoli e si sfregi senso e portata delle iniziative politiche che si propongono al paese. Questo alla fine sarebbe il meno. Il fatto è che è in corso da tempo un’offensiva mediatica-clericale che ammorba e inquina molto più di quanto, forse, noi stessi ci rendiamo conto. Si prenda, per esempio una vicenda che non è rubricabile con la polemica politica, la tragedia dello tsunami che il 26 dicembre scorso ha spazzato via l’Oceano Indiano. Quella che segue è una piccola antologia di scempiaggini, un vero delirio di commenti “teologici”, che con assoluta tranquillità sono state dette, ripetute e amplificate senza che vi sia stata alcuna possibilità di replica:
“Anche nelle prove più difficili e dolorose, come nella calamità che ha colpito il Sud Est asiatico, Dio non ci abbandona mai” (Giovanni Paolo II, “Angelus” del 2 gennaio).
“Non è corretto chiamare lo tsunami un atto divino, perché Dio non è intervenuto a provocare il disastro. E non c’è niente in comune con il Giudizio universale, perché lo tsunami ha ucciso e distrutto a caso, e non soltanto i cattivi impenitenti” (cardinale George Pell, arcivescovo di Sydney, 9 gennaio).
“Vampata provvidenziale…sfolgorio di luce…momento di grande purificazione… occasione che Dio ci offre per cambiare mentalità…tragica bellezza di questo momento…”(cardinale Ersilio Tonini, 31 dicembre “Avvenire”).
“L’onda…è stata un ammonimento premonitore dei travagli cui l’umanità va incontro” (padre Livio Fanzaga, 14 gennaio, “Radio Maria”). “Quella che avete chiamato onda assassina non è un castigo di Dio, ma il suo grande abbraccio che porta in Paradiso tutti i suoi figli…” (padre Michele Catalano, “L’angolo del teologo Borel di gennaio”, sul sito www.donboscoland.it).
Caro Giacalone, se questo è vieto anticlericalismo d’antan, ebbene: evviva il vieto anticlericalismo d’antan.
Non so verso quale lido sono diretti i radicali. So che sarà un’estate “calda”, densa di impegni: Pannella ha lanciato l’idea di un nuovo Partito d’Azione, che valuti con scetticismo; Daniele Capezzone propone (non in alternativa, ma in integrazione) un seminario a settembre come ulteriore luogo e occasione di dibattito e riflessione, prima dell’annuale congresso di Radicali Italiani; ci sono poi gli scienziati che con l’associazione Luca Coscioni si stanno organizzando: dopo l’“inaudito” e silenziato sciopero della fame, ora si rivolgono con un documento politico, al presidente Ciampi; si lavora per l‘organizzazione di un “Congresso Mondiale per la libertà di ricerca, di scienza e coscienza”. E vorrà ben dire qualcosa che all’indomani del rovinoso risultato referendario, quasi duemila chirurghi della Society of Surgical Oncology e dell’American Society for the Study of Breast Diseases candidino il professor Umberto Veronesi (uno dei testimonial del SI) al premio Nobel? “Ha sfidato uno dei dogmi della medicina di allora e ha avuto ragione. Per anni considerato un traditore…dall’80 ad oggi due milioni di donne statunitensi sono guarite dal tumore salvando il seno grazie a lui”, la motivazione. E pone o no già fin da ora qualche problema, o riflessione, il fatto che dopo la bocciatura di fare ricerche sulle embrionali, i principali centri di medicina rigenerativa oggi, subito, abbiano ripreso i contatti con le aziende biotech nel mondo che “producono” queste cellule; e che il risultato più probabile, mancato business a parte, sarà una massiccia fuga di “cervelli” all’estero?
Non ci siamo ripiegati su noi stessi, non ci siamo esercitati nell’inconcludente pratica del crucifige, abbiamo avviato una discussione seria e concreta su “che fare”, “come fare”, “con chi fare”. Caro Giacalone: dici che è poco? E se viene anche quel mondo del centro-destra che ha sostenuto i referendum e fatto l’opzione a favore del SI, benvenuto, tappeto rosso in loro onore. Ma tu li vedi, sai dove sono finiti? Forse mi sarò distratto, ma all’Ergife non li ho né visti né sentiti.
Pubblicato sull’Opinione del 25 giugno 2005
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.