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Una scelta paradossale

I limiti politici del simbolo di Fli

La Terza Repubblica non può essere leaderistica

di Enrico Cisnetto - 09 novembre 2010

Che brutto, il simbolo di Futuro e Libertà. No, il giudizio non è estetico – su questo punto mi limito a dire che non mi piace, ma poco importa – bensì politico. E fa riferimento alla scelta di inserirvi, e per di più in modo molto evidente, il nome di Fini. Ma come, la nuova forza politica nasce dalla rottura con il premier in quanto personificazione della concezione leaderistica e privatistica della politica e persino delle istituzioni, nasce in antitesi al Pdl dal quale il presidente della Camera e i suoi sono stati costretti a uscire per mancata obbedienza al capo, e voi ve ne uscite fuori con un partito che si chiama Fini? Paradossale. Deludente.

Siamo chiari: ho ritenuto e continuo a considerare irrilevante la vicenda Montecarlo, quale che ne possa essere l’esito finale (compresa l’eventuale scoperta che il proprietario dell’immobile è Tulliani e che Fini lo sapesse). Nello stesso tempo ritengo che ci siano talmente tante argomentazioni politiche che possono essere utilizzate per polemizzare con il Cavaliere, a cominciare da quelle relative alla capacità di governo dei grandi problemi del Paese, che usare quelle relative alla sua vita privata certo non proba trovo sia squalificante per chi le maneggia. Questo per dire che non solo sono disinteressato alla contrapposizione personale, ma trovo che costruirci sopra la propria identità politica sia una pratica in cima alla lista – ahimè assai lunga – delle abitudini da dismettere se si vuole salvare l’Italia dal declino.

Taluni rimproverano a Fini di aver fatto così con Berlusconi: se ne è separato solo per ragioni squisitamente personali. Io ho sempre contestato questo giudizio. Ovviamente, non sono orbo e vedo quanto le questioni caratteriali prima e di contrapposizione personale poi abbiano inciso nel far maturare la rottura tra i due. Tuttavia, credo comunque che molti dei rilievi fatti da Fini sulla gestione del partito, anzi sulla sua stessa natura, e sull’operato del governo siano del tutto fondati, e lo rimarrebbero anche se fosse vero che sono stati usati strumentalmente.

Per questo mi sono cascate le braccia nel vedere che il Fli, prima ancora di nascere formalmente, ha già le sembianze del partito che s’identifica con il suo leader fino al punto che nel simbolo il cognome di quest’ultimo sovrasta clamorosamente il nome del soggetto collettivo. Ora, il Fli già deve scontare la mancanza di un radicamento con le grandi matrici politico-culturali del Novecento che tengono ancora banco in Europa. E passi. Ma che in più, invece di combattere la riduzione della politica a populismo carismatico, magari di stampo peronista, si alimenti la deriva con una scelta così smaccatamente leaderistica, questo proprio non è accettabile.

Intanto perché la storia di questi di Seconda Repubblica c’insegna che a furia di copiare Berlusconi lo si è reso sempre più longevo, visto che giustamente la gente sceglie l’originale e non la fotocopia. E poi perché la nascita di nuove formazioni politiche e più in generale di nuove aggregazioni capaci di mettere definitivamente in soffitta il fallimentare bipolarismo italico – per capirci quello che impropriamente viene definito “terzo polo” – ha un senso solo nella misura in cui si marca netta la differenza con il passato (per adesso, purtroppo, ancora presente).

Certo, la distinzione deve avvenire prima di tutto sulle idee e sulle proposte, ma queste – ammesso che ci siano – non possono certo emergere con la necessaria credibilità se le forme e i comportamenti, a cominciare dai simboli, richiamano proprio tutto quello da cui s’intende distinguersi. Forte del fatto che l’ho pubblicamente detto anche a Casini – via il tuo nome dal simbolo dell’Udc e tanto più dal futuro Partito della Nazione – lo dico anche a Fini e agli amici del Fli: ripensateci.

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