Alitalia, caso Villari, ora Sky
I limiti della pax berlusconiana
Ma basta il bipartitismo all'italiana ad allinearci agli standards europei?di Elio Di Caprio - 05 dicembre 2008
Non sono passati neanche sei mesi dalla “svolta” delle ultime elezioni e un’infinità di piccoli episodi, di dichiarazioni fuori posto, di fughe in avanti e precipitose retromarce, di machiavellismi di basso conio- basta riflettere sulla vicenda kafkiana ancora in corso del senatore Villari, eletto ma non tanto, alla presidenza della commissione di vigilanza Rai- di scaramucce che si rincorrono continuamente, evidenziano un clima di inquietudine che riguarda tanto i partiti di maggioranza quanto quelli di opposizione.
Non è un buon inizio per una legislatura che dovrebbe andare tranquillamente a compimento tra più di quattro anni e in mezzo ad una crisi finanziaria che, se si aggraverà ancora, non potrà non produrre effetti dirompenti nel precario equilibrio delle forze politiche attualmente in campo.
La pax berlusconiana che avrebbe dovuto essere il sigillo definitivo della svolta voluta –ma sarebbe meglio dire imposta - dagli elettori in nome della promessa stabilità e di un assetto politico finalmente condiviso tra i poteri “forti” rimasti, mostra già le sue crepe, è continuamente messa in forse dallo stesso fondatore di Forza Italia e del PDL che non perde occasione per rinfocolare un clima di ostilità permanente, comportandosi egli stesso più da leader di partito che da capo del governo.
Qualunque dichiarazione (o battuta) del Cavaliere viene ormai presentata e scrutinata dai giornali e dalle televisioni come la vera novità su cui discutere, costringe i suoi collaboratori a grotteschi distinguo e rettifiche per interpretare quello che il capo ha inteso veramente dire, delizia l’opposizione in cerca di qualunque appiglio per dimostrare che esiste. Ma poi perché l’opinione pubblica deve essere sempre costretta a ricercare cosa c’è dietro i colpi di fioretto o i fendenti a più gittate che si scambiano i rappresentanti di governo e di opposizione tra loro o gli uni contro gli altri? E’ questa la semplificazione, la stabilità, la chiarezza che volevamo?
Il ministro dell’economia Tremonti esprime preoccupazioni sulla situazione economica interna che contrastano con l’ottimismo di Berlusconi e non sai se è un gioco delle parti o se si tratta di un vero dissenso che potrà sfociare prima o poi in una rottura. Gli altri Ministri che amano definirsi socialisti o ex socialisti, da Sacconi a Brunetta, ambiscono a costituire con Tremonti una troika che disquisisce sui temi economici e sociali più disparati, fanno a gara per essere sulle prime pagine dei giornali, lanciano continui ballon d’essai sperando solo che le loro dichiarazioni non debbano essere smentite o corrette dal Cavaliere sempre più attento ai sondaggi di opinione.
Il Presidente della Camera Fini, dallo scranno più alto del Parlamento tenta qualche fuoruscita dialettica, cerca di accreditare un’influenza decisiva del suo partito d’origine nonostante sappia in anticipo che i posti di potere nel costituendo PDL saranno attribuiti dal “mago” Verdini per il 70% a Forza Italia e per il 30% ad AN. Bossi sta alla finestra con il suo federalismo fiscale, si accontenta di una vittoria di facciata, ma sa bene che il capitolo è di ardua attuazione in tempi di crisi economica e difficilmente ne potrà fare una condizione determinante perché la Lega resti al governo e salvi la legislatura.
L’istanza unificante che assorbe e ricompone le varie anime della coalizione di governo continua ad essere (o apparire) quella del Cavaliere. Fino a quando? Ma anche nell’opposizione attuale le acque sono tutt’altro che tranquille. Si scopre in ritardo che, nonostante i gazebo e le primarie, il bipartitismo all’italiana voluto da Veltroni non può essere trasposto nel parlamento europeo proprio per le divisioni che permangono nel partito democratico. Non si sa ancora chi e a che titolo, dopo le prossime elezioni, potrà entrare nel gruppo parlamentare del Partito Socialista europeo. Nel 2008 si corre il rischio di assistere all’ennesima, stucchevole contrapposizione tra veltroniani e dalemiani tanto per riproporre le vecchie rivalità del partito comunista prima della caduta del muro di Berlino. E la formazione di Di Pietro dove la mettiamo, ammesso che riesca a raggiungere un quoziente di rappresentanza alle prossime elezioni europee?
La realtà è che siamo ancora lontani dagli standards europei non solo per questi motivi ma anche per molti altri aspetti rilevanti che incidono sul nostro vivere sociale. La vicenda dell’improvvisato, ma non imprevisto aumento della tassazione a carico di Sky ha fatto sì rivenire alla luce l’eterno problema del conflitto di interessi ma ha pure dimostrato quanta fatica fa ad andare avanti da noi il pluralismo dell’informazione: la carta stampata, a differenza degli altri Paesi europei, è quasi totalmente in mano ai grandi gruppi economici ed ora Sky viene trattata da terzo incomodo che può turbare il duopolio televisivo di Rai e Mediaset.
Il grimaldello berlusconiano è servito prima a seppellire la Prima Repubblica, ora a dare le nuove carte per tentare di trasformare un confuso bipolarismo in un tendenziale bipartitismo di tipo europeo. Chi si illudeva che bastasse ciò ad allinearci agli standards democratici dei maggiori Paesi europei avrebbe più di un motivo per ricredersi.
La pax berlusconiana che avrebbe dovuto essere il sigillo definitivo della svolta voluta –ma sarebbe meglio dire imposta - dagli elettori in nome della promessa stabilità e di un assetto politico finalmente condiviso tra i poteri “forti” rimasti, mostra già le sue crepe, è continuamente messa in forse dallo stesso fondatore di Forza Italia e del PDL che non perde occasione per rinfocolare un clima di ostilità permanente, comportandosi egli stesso più da leader di partito che da capo del governo.
Qualunque dichiarazione (o battuta) del Cavaliere viene ormai presentata e scrutinata dai giornali e dalle televisioni come la vera novità su cui discutere, costringe i suoi collaboratori a grotteschi distinguo e rettifiche per interpretare quello che il capo ha inteso veramente dire, delizia l’opposizione in cerca di qualunque appiglio per dimostrare che esiste. Ma poi perché l’opinione pubblica deve essere sempre costretta a ricercare cosa c’è dietro i colpi di fioretto o i fendenti a più gittate che si scambiano i rappresentanti di governo e di opposizione tra loro o gli uni contro gli altri? E’ questa la semplificazione, la stabilità, la chiarezza che volevamo?
Il ministro dell’economia Tremonti esprime preoccupazioni sulla situazione economica interna che contrastano con l’ottimismo di Berlusconi e non sai se è un gioco delle parti o se si tratta di un vero dissenso che potrà sfociare prima o poi in una rottura. Gli altri Ministri che amano definirsi socialisti o ex socialisti, da Sacconi a Brunetta, ambiscono a costituire con Tremonti una troika che disquisisce sui temi economici e sociali più disparati, fanno a gara per essere sulle prime pagine dei giornali, lanciano continui ballon d’essai sperando solo che le loro dichiarazioni non debbano essere smentite o corrette dal Cavaliere sempre più attento ai sondaggi di opinione.
Il Presidente della Camera Fini, dallo scranno più alto del Parlamento tenta qualche fuoruscita dialettica, cerca di accreditare un’influenza decisiva del suo partito d’origine nonostante sappia in anticipo che i posti di potere nel costituendo PDL saranno attribuiti dal “mago” Verdini per il 70% a Forza Italia e per il 30% ad AN. Bossi sta alla finestra con il suo federalismo fiscale, si accontenta di una vittoria di facciata, ma sa bene che il capitolo è di ardua attuazione in tempi di crisi economica e difficilmente ne potrà fare una condizione determinante perché la Lega resti al governo e salvi la legislatura.
L’istanza unificante che assorbe e ricompone le varie anime della coalizione di governo continua ad essere (o apparire) quella del Cavaliere. Fino a quando? Ma anche nell’opposizione attuale le acque sono tutt’altro che tranquille. Si scopre in ritardo che, nonostante i gazebo e le primarie, il bipartitismo all’italiana voluto da Veltroni non può essere trasposto nel parlamento europeo proprio per le divisioni che permangono nel partito democratico. Non si sa ancora chi e a che titolo, dopo le prossime elezioni, potrà entrare nel gruppo parlamentare del Partito Socialista europeo. Nel 2008 si corre il rischio di assistere all’ennesima, stucchevole contrapposizione tra veltroniani e dalemiani tanto per riproporre le vecchie rivalità del partito comunista prima della caduta del muro di Berlino. E la formazione di Di Pietro dove la mettiamo, ammesso che riesca a raggiungere un quoziente di rappresentanza alle prossime elezioni europee?
La realtà è che siamo ancora lontani dagli standards europei non solo per questi motivi ma anche per molti altri aspetti rilevanti che incidono sul nostro vivere sociale. La vicenda dell’improvvisato, ma non imprevisto aumento della tassazione a carico di Sky ha fatto sì rivenire alla luce l’eterno problema del conflitto di interessi ma ha pure dimostrato quanta fatica fa ad andare avanti da noi il pluralismo dell’informazione: la carta stampata, a differenza degli altri Paesi europei, è quasi totalmente in mano ai grandi gruppi economici ed ora Sky viene trattata da terzo incomodo che può turbare il duopolio televisivo di Rai e Mediaset.
Il grimaldello berlusconiano è servito prima a seppellire la Prima Repubblica, ora a dare le nuove carte per tentare di trasformare un confuso bipolarismo in un tendenziale bipartitismo di tipo europeo. Chi si illudeva che bastasse ciò ad allinearci agli standards democratici dei maggiori Paesi europei avrebbe più di un motivo per ricredersi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.