Non oltraggiamo fatti e memoria
I fantasmi del 1993
Che cosa successe, veramente, in Italia, fra il 1992 e il 1994?di Davide Giacalone - 30 marzo 2011
Nel 1993 il governo era presieduto da Carlo Azelio Ciampi, ma non sempre governava lui. Decisioni importanti venivano prese altrove. Ho recentemente proposto una cronologia, un susseguirsi di fatti che smentisce ricostruzioni leggendarie. Feci osservare che i mafiosi “stragisti” mettevano bombe che facevano cilecca o danni limitati. Quasi servissero a ricordare a qualcuno impegni non rispettati. Ora siamo in grado di fare un passo ulteriore: il carcere duro, per i mafiosi, fu affievolito grazie all’azione di Oscar Luigi Scalfaro, allora Presidente della Repubblica, con il determinante contributo di due prelati. Del Vaticano, se preferite. Ragioniamone.
La nomina del direttore generale del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria è di competenza governativa. Lo è sempre stata. La scelta di Alberto Capriotti, però, fu voluta da Scalfaro e fu decisiva. Capriotti, difatti, era amico suo, mentre egli non sopportava Nicolò Amato, il predecessore. Capriotti era sconosciuto a Giovanni Conso, ministro della giustizia, che se lo vide suggerire dal capo dei cappellani carcerari e dal suo assistente (Cesare Curioni e Fabio Fabbri) amici di Scalfaro e da lui inviati. E’ bene ricordare che ben due bombe, fatte esplodere senza mietere vittime, ebbero come bersaglio luoghi di culto, di cui uno, il vicariato di Roma, a San Giovanni in Laterano, simbolicamente molto rilevante. Allora ci si chiese: chissà chi ha indicato ai mafiosi, ignoranti, obiettivi artistici di così grande valore ma non poi così famosi.
Il Colosseo, per dire, non è meno vulnerabile ma è un simbolo conosciuto nel mondo. Un dubbio è lecito: non è che i mafiosi scelsero quegli obiettivi non per l’arte, ma per gli inquilini? E se una promessa d’affievolimento del 41 bis fosse giunta da ambienti ecclesiastici, posto che sono due prelati ad averla propiziata, posto che è un Presidente della Repubblica molto vicino alle gerarchie ad averla sponsorizzata, perché e su che il Vaticano stava trattando? Può darsi ci siano ragioni umanitarie, ma, francamente, non è un’ipotesi convincente.
Carlo Azelio Ciampi, all’epoca presidente del Consiglio, naviga fra i “non so” e i “non ricordo”. Dodici giorni dopo essere giunto al Dap, Capriotti suggerì al ministro Conso, per ragioni distensive, di revocare il regime di 41 bis (dell’ordinamento penitenziario, il carcere duro) a un congruo numero di mafiosi. Conso lo fece, e ora ricorda di aver preso quella decisione per fermare la strategia bombarola della mafia, che effettivamente si fermò. Questi sono fatti. Ma si deve stare attenti a maneggiarli, perché si tratta di materiale assai delicato, relativo ad alcuni dei passaggi più oscuri della nostra storia recente.
La memoria, specie quando è a lungo negata e corrotta, gioca brutti scherzi, perché capita, magari in buona fede, di rammentare spezzoni di realtà, confondendoli con il tutto. Così come capita di coltivare fantasie. L’arrovellarsi attorno a quei due non rinnovi del 41 bis sarebbe privo di senso, se non si legasse all’ipotesi che sia stato argomento di trattativa fra lo Stato e la mafia, un capitolo del papello, una richiesta di Totò Riina. Non sarebbe rilevante, per due ragioni: a. perché prima del novembre 1993 quel regime era esageratamente applicato e dopo, nel 1994, torna ad esserlo; b. perché io stesso sono contrario a quel regime, previsto solo in casi d’emergenza (come le rivolte carcerarie).
Ma ciò è irrilevante, e la cosa non può sfuggire all’ottimo Massimo Bordin, che sfiderò a duello se insisterà in audaci accostamenti. Il perché è semplice: sono anni che andiamo appresso all’idea che ci possa essere stata una trattativa fra mafia e Stato, con Vito Ciancimino da una parte, Marcello Dell’Utri dall’altra e il Ros di Mario Mori in mezzo, con la pretesa, però, di posticipare i benefici a favore dei mafiosi, che, come Conso ben ricorda e come i documenti confermano, presero corpo in data precedente.
E non c’è solo questo, perché anche sulla vicenda, esemplare e drammatica, di Giovanni Falcone s’è provato a rigirar le frittate, assegnando lo sfruttamento della sua memoria a chi ne aveva, con risolutezza ed efficacia, avversato l’attività. E non sto parlando della mafia, ma di Luciano Violante.
E non basta, perché adesso leggo che un Giovanni Brusca all’apice dell’attività inquinatrice, arrestato nel 1996, destinatario, da assassino scannatore, di ogni beneficio, che poi perde perché continua a violare le norme, nell’agosto del 2010, parlando con la moglie e i cognati, in carcere e nella matematica certezza d’essere ascoltato, afferma che la mafia voleva uccidere Carlo De Benedetti per fare un piacere a Berlusconi. Per quanto e fino a quanto dovremo dipendere da roba simile? E non si riesce a trovare un suggeritore meno rozzo?
Io non ho la più pallida idea di chi i mafiosi avessero come interlocutori, e non so neanche se li avevano. Ma so per certo che andiamo avanti da anni mandando in onda il film della mafia che se la intende con il centro destra di Silvio Berlusconi, dando per scontato che si trattò e si cedette. Salvo il fatto che il cedimento, se proprio così lo si vuol chiamare, fu precedente, mentre governante Berlusconi (per l’orrore di noi garantisti) il 41 bis tornò di moda.
E, sempre per essere chiari, me ne cale pochino anche del Berlusconi medesimo, se non fosse che sento il dovere di ricordare che chi fu eletto sull’onda delle bombe mafiose fu Scalfaro, non lui. Che fu Nicola Mancino, allora ministro degli Interni, a dire che era evidente la natura mafiosa della bomba ai Georgofili e che era evidente anche il legame con il 41 bis. Fu Conso a firmare un atto conseguente con quell’evidenza, suggerito da un uomo voluto da Scalfaro. E sono Scalfaro e Ciampi a rispondere, su queste cose, solo: non so, non ho visto niente, non c’ero e se c’ero dormivo.
Non sono io ad avere inventato la teoria dell’antistato che s’impadronisce della politica. E così come non credo che con Berlusconi sia andata al governo la mafia, neanche credo che con Scalfaro e Ciampi siano andati al potere gli amici della mafia. Ma i fatti e la memoria non devono essere oltraggiati.
Quindi, se rimettiamo le tessere al loro posto e prendiamo atto che un governo mai eletto e senza maggioranza politica (quello Ciampi) era, almeno su alcune questioni, eterodiretto, potremmo permetterci di passare alla seconda domanda, assai più complicata e interessante: cosa successe, veramente, in Italia, fra il 1992 e il 1994? Nella risposta c’è quel che serve per chiudere questa lunga, estenuante, folle guerra civile giudiziaria e seppellire il cadavere marcio della seconda Repubblica.
Pubblicato da Libero
La nomina del direttore generale del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria è di competenza governativa. Lo è sempre stata. La scelta di Alberto Capriotti, però, fu voluta da Scalfaro e fu decisiva. Capriotti, difatti, era amico suo, mentre egli non sopportava Nicolò Amato, il predecessore. Capriotti era sconosciuto a Giovanni Conso, ministro della giustizia, che se lo vide suggerire dal capo dei cappellani carcerari e dal suo assistente (Cesare Curioni e Fabio Fabbri) amici di Scalfaro e da lui inviati. E’ bene ricordare che ben due bombe, fatte esplodere senza mietere vittime, ebbero come bersaglio luoghi di culto, di cui uno, il vicariato di Roma, a San Giovanni in Laterano, simbolicamente molto rilevante. Allora ci si chiese: chissà chi ha indicato ai mafiosi, ignoranti, obiettivi artistici di così grande valore ma non poi così famosi.
Il Colosseo, per dire, non è meno vulnerabile ma è un simbolo conosciuto nel mondo. Un dubbio è lecito: non è che i mafiosi scelsero quegli obiettivi non per l’arte, ma per gli inquilini? E se una promessa d’affievolimento del 41 bis fosse giunta da ambienti ecclesiastici, posto che sono due prelati ad averla propiziata, posto che è un Presidente della Repubblica molto vicino alle gerarchie ad averla sponsorizzata, perché e su che il Vaticano stava trattando? Può darsi ci siano ragioni umanitarie, ma, francamente, non è un’ipotesi convincente.
Carlo Azelio Ciampi, all’epoca presidente del Consiglio, naviga fra i “non so” e i “non ricordo”. Dodici giorni dopo essere giunto al Dap, Capriotti suggerì al ministro Conso, per ragioni distensive, di revocare il regime di 41 bis (dell’ordinamento penitenziario, il carcere duro) a un congruo numero di mafiosi. Conso lo fece, e ora ricorda di aver preso quella decisione per fermare la strategia bombarola della mafia, che effettivamente si fermò. Questi sono fatti. Ma si deve stare attenti a maneggiarli, perché si tratta di materiale assai delicato, relativo ad alcuni dei passaggi più oscuri della nostra storia recente.
La memoria, specie quando è a lungo negata e corrotta, gioca brutti scherzi, perché capita, magari in buona fede, di rammentare spezzoni di realtà, confondendoli con il tutto. Così come capita di coltivare fantasie. L’arrovellarsi attorno a quei due non rinnovi del 41 bis sarebbe privo di senso, se non si legasse all’ipotesi che sia stato argomento di trattativa fra lo Stato e la mafia, un capitolo del papello, una richiesta di Totò Riina. Non sarebbe rilevante, per due ragioni: a. perché prima del novembre 1993 quel regime era esageratamente applicato e dopo, nel 1994, torna ad esserlo; b. perché io stesso sono contrario a quel regime, previsto solo in casi d’emergenza (come le rivolte carcerarie).
Ma ciò è irrilevante, e la cosa non può sfuggire all’ottimo Massimo Bordin, che sfiderò a duello se insisterà in audaci accostamenti. Il perché è semplice: sono anni che andiamo appresso all’idea che ci possa essere stata una trattativa fra mafia e Stato, con Vito Ciancimino da una parte, Marcello Dell’Utri dall’altra e il Ros di Mario Mori in mezzo, con la pretesa, però, di posticipare i benefici a favore dei mafiosi, che, come Conso ben ricorda e come i documenti confermano, presero corpo in data precedente.
E non c’è solo questo, perché anche sulla vicenda, esemplare e drammatica, di Giovanni Falcone s’è provato a rigirar le frittate, assegnando lo sfruttamento della sua memoria a chi ne aveva, con risolutezza ed efficacia, avversato l’attività. E non sto parlando della mafia, ma di Luciano Violante.
E non basta, perché adesso leggo che un Giovanni Brusca all’apice dell’attività inquinatrice, arrestato nel 1996, destinatario, da assassino scannatore, di ogni beneficio, che poi perde perché continua a violare le norme, nell’agosto del 2010, parlando con la moglie e i cognati, in carcere e nella matematica certezza d’essere ascoltato, afferma che la mafia voleva uccidere Carlo De Benedetti per fare un piacere a Berlusconi. Per quanto e fino a quanto dovremo dipendere da roba simile? E non si riesce a trovare un suggeritore meno rozzo?
Io non ho la più pallida idea di chi i mafiosi avessero come interlocutori, e non so neanche se li avevano. Ma so per certo che andiamo avanti da anni mandando in onda il film della mafia che se la intende con il centro destra di Silvio Berlusconi, dando per scontato che si trattò e si cedette. Salvo il fatto che il cedimento, se proprio così lo si vuol chiamare, fu precedente, mentre governante Berlusconi (per l’orrore di noi garantisti) il 41 bis tornò di moda.
E, sempre per essere chiari, me ne cale pochino anche del Berlusconi medesimo, se non fosse che sento il dovere di ricordare che chi fu eletto sull’onda delle bombe mafiose fu Scalfaro, non lui. Che fu Nicola Mancino, allora ministro degli Interni, a dire che era evidente la natura mafiosa della bomba ai Georgofili e che era evidente anche il legame con il 41 bis. Fu Conso a firmare un atto conseguente con quell’evidenza, suggerito da un uomo voluto da Scalfaro. E sono Scalfaro e Ciampi a rispondere, su queste cose, solo: non so, non ho visto niente, non c’ero e se c’ero dormivo.
Non sono io ad avere inventato la teoria dell’antistato che s’impadronisce della politica. E così come non credo che con Berlusconi sia andata al governo la mafia, neanche credo che con Scalfaro e Ciampi siano andati al potere gli amici della mafia. Ma i fatti e la memoria non devono essere oltraggiati.
Quindi, se rimettiamo le tessere al loro posto e prendiamo atto che un governo mai eletto e senza maggioranza politica (quello Ciampi) era, almeno su alcune questioni, eterodiretto, potremmo permetterci di passare alla seconda domanda, assai più complicata e interessante: cosa successe, veramente, in Italia, fra il 1992 e il 1994? Nella risposta c’è quel che serve per chiudere questa lunga, estenuante, folle guerra civile giudiziaria e seppellire il cadavere marcio della seconda Repubblica.
Pubblicato da Libero
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.