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Quello che ancora manca nel sistema di caste e di partiti inamovibili

I dilemmi dei 150 anni dell’Unità d’Italia

Senso dello Stato, senso della Nazione o senso della Costituzione?

di Elio Di Caprio - 01 aprile 2011

La confusione regna sovrana tra i messaggi unificanti che le più alte cariche dello Stato- in primis Giorgio Napolitano- cercano di imprimere, non senza apprensione, in tutti noi e la realtà dissociata di un Paese come il nostro che si trova a fare i conti a scadenza ventennale con tutti i nodi irrisolti della sua storia nazionale. Ora si tratta di quella creatura dai molti padri che amiamo definire come berlusconismo, venti anni prima c’è stata la svolta di Mani pulite e prima ancora le conseguenze anarcoidi di un ’68 tutto declinato all’italiana.

Venti anni prima o poco più l’8 settembre della resa e della “sconfitta della Patria”. Per non parlare del precedente irrompere del fascismo ventennale, anch’esso creatura imprevista dai molti padri e dai troppi seguaci dell’ultimo momento. Abbondano le analisi del 150 esimo anniversario dell’unificazione e Sergio Romano che pure si allarma per i ritornanti segni di disfacimento della convivenza civile, ammette apertamente che non sappiamo esattamente cosa celebrare. Se stiamo arrancando nello stallo tra un velleitario berlusconismo già di per sè logorato ed un antiberlusconismo che non riesce da quasi venti anni ad essere alternativa, la tentazione è sempre quella di ricondurre le inquietudini ricorrenti ad una sostanziale debolezza del nostro processo unitario che ci ha fatto diventare, forse in maniera troppo accelerata, Stato e Nazione insieme.

Cosa è mancato e manca ancora? Il senso dello Stato? Quello della Nazione che sembra da anni svaporato a fronte della secessione (finora solo a parole) della nazione padana? Oppure entrambi che a mala pena si tenta di rimpiazzare con un presunto senso della Costituzione come nuovo elemento unificante, nonostante ben pochi ne conoscessero e ne conoscono il contenuto continuamente strumentalizzato dalle faide di partito? Ernesto Galli della Loggia per spiegare lo scarso senso dello Stato degli italiani punta il suo indice critico sul male antico di una politica troppo forte e pervadente che ha ridotto le spinte dei corpi intermedi presenti nella nostra società politicizzando anche ciò che andava preservato come continuità “neutrale” di uno Stato che a suo modo andava modernizzandosi e fa risalire al fascismo l’occupazione partitica della società.

Secondo lo storico la stessa Costituzione è stato un prodotto partitico destinato a colmare il vuoto prodottosi dopo la debacle dell’8 settembre che sembrava aver colpito a morte il sentimento della nazione come forza collettiva e aggregante. Può essere e sicuramente la cornice costituzionale non è affatto servita a ridurre il potere dei partiti più che della politica : basterebbe considerare la prassi dello “spoil sistem” contrabbandata da noi come una misura di efficienza e di coerenza politica che in altri Stati consente una migliore governabilità e rivelatasi nella pratica un ulteriore espediente che spinge alla faziosità interessata dei fronti contrapposti. Oppure basta interrogarsi su chi ha voluto l’ultima legge elettorale che, nonostante o grazie alla Costituzione, aumenta e non limita il potere dei partiti, anzi delega il potere di nomina dei candidati alle segreterie di partito.

Che senso ha allora parlare o propagandare il senso della Costituzione, al posto di quello dello Stato o della Nazione se essa è diventata ed ancora è un giocattolo, tirata da una parte o dall’altra a sostegno o contro questa o quella riforma, ma poi incapace di ridurre il potere dei partiti come segno dell’eccessiva politicizzazione della nostra vita collettiva? Invece di attardarsi su un retorico patriottismo costituzionale bisognerebbe ricordarsi, come ci invita Galli della Loggia, che la Costituzione è stato un patto compromissorio tra i partiti, tra quei partiti che nel dopoguerra hanno sì colmato un vuoto di potere ma non hanno mai ritirato i loro artigli nei decenni successivi, tra Prima e Seconda Repubblica, per rendere più ordinato e meno traumatico il processo di modernizzazione italiano che pure ci ha portato ad essere la sesta o settima potenza economica mondiale (finora). Se sono solo i partiti a sostituire le classi dirigenti ogni cambiamento è viziato fin dall’origine.

E’ proprio il senso dello Stato che dovrebbe indurci senza infingimenti a cambiare il testo costituzionale, visto che almeno fino al 1993 l’Italia è stato un Paese di frontiera a sovranità limitata in cui la Costituzione formale ha sì svolto un suo ruolo di contenimento delle spinte eversive ma al costo di emarginare un buon 40% dell’elettorato a cui era impedito di concorrere alla formazione dei governi per una “conventio ad excludendum” che è durata 40 anni. Costituzione democratica senza democrazia effettiva? Era allora necessaria una svolta “indipendentista” che non c’è stata.

Al suo posto abbiamo avuto Berlusconi e la lunga stagione del berlusconismo ( ancora in corso), una deriva pseudo plebiscitaria che la Costituzione non è riuscita ad impedire, il trasformismo di una casta chiusa che si ritiene e si presenta come direttamente eletta dal popolo. Ben oltre quella che Galli della Loggia definisce come “politicizzazione eccessiva” che ha offuscato il senso dello Stato.

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