ultimora
Public Policy

Lasciate perdere la manovra finanziaria

I conti tornano

Il vero tallone d'Achille italiano è il fallimentare sistema politico-istituzionale

di Enrico Cisnetto - 08 luglio 2011

Lasciate perdere la manovra finanziaria. E’ come guardare il dito anziché la luna. E in questo caso la luna è l’attacco che la speculazione ha deciso di portare all’Italia, ai suoi titoli di Stato e alle sue banche. Ieri lo spread tra i nostri Btp decennali e i bund tedeschi ha toccato l’ennesimo record storico, a oltre 225 punti base – il che vuol dire 36 miliardi di oneri in più da pagare, visto che ogni punto ci costa 160 milioni – e la pressione sui titoli bancari in Borsa è andata ben oltre quelli che possono essere i problemi del sistema creditizio, che per esempio è molto meno esposto dei concorrenti tedeschi o francesi sui titoli greci e portoghesi, considerati “spazzatura” dalle società di rating.

E le banche italiane non sono esposte più di tanto neppure su Bot e Btp nostrani, visto che sono solo un settimo dei totale dei titoli pubblici che hanno in portafoglio (poco più di 200 miliardi su 1500 e rotti) e sono un quarto (200 contro 790 miliardi) delle obbligazioni dello Stato italiano detenute da investitori esteri. Eppure, da tempo Intesa, Unicredit e le altre banche quotate sono oggetto di vendite che hanno reso la loro capitalizzazione borsistica ridicola rispetto al patrimonio netto. E la dice lunga il fatto che gli ordini di vendita vengano in buona misura dagli Stati Uniti, hedge fund ma anche fondi pensione.

Significa che i mercati hanno deciso un cambio di strategia rispetto ai mesi scorsi: finora l’attacco speculativo era sui tre paesi in difficoltà più piccoli – Grecia, Portogallo, Irlanda – mentre Italia, Spagna e negli ultimi tempi il Belgio, venivano coinvolti per un puro effetto di trascinamento; adesso, invece, non avendo più margini su attività finanziarie limitate e speculate da mesi e mesi, giocano al ribasso, vendendo allo scoperto, sui paesi di maggiori dimensioni.

Dunque, è bene esserne coscienti: ora nel mirino c’è (anche) l’Italia. E non è né giusto né utile, per analizzare la situazione e trovare dei rimedi, evocare complotti internazionali, accusare le società di rating di giocare sporco o demonizzare la speculazione. Ciascuno fa il suo mestiere, quello che conta è mettersi nella condizione di non farsi fregare.

E oggi, è bene essere chiari, il fianco scoperto dell’Italia è il suo fallimentare sistema politico-istituzionale. Pur faticando a capirne i dettagli barocchi – come ha recentemente ricordato in modo non proprio elegante Sarkozy – all’estero hanno la percezione di una politica italiana che fatica maledettamente a dare stabilità al Paese. Troppi gli episodi eclatanti e i segnali di fragilità e frammentazione, troppe le risse e le brutte figure nei consessi internazionali: non ci vogliono i servizi segreti per sapere della debolezza dell’Italia, e deciderne di approfittarne.

E’ quindi in questo quadro che va vista la manovra correttiva dei conti pubblici. Ed è evidente che, così inquadrata, essa va giudicata per il suo effetto primario – porta al pareggio di bilancio nel 2014 – e non entrando nel merito dei singoli provvedimenti di cui si compone. Alcuni dei quali sono discutibili – il blocco parziale della rivalutazione delle pensioni oltre i 1428 euro lordi, il bollo sui titoli di Stato, l’aumento dell’Irap per banche assicurazioni, l’introduzione di un tetto dell’1% all’ammortamento fiscale dei beni in concessione – altri insufficienti o troppo ritardati – come l’adeguamento dell’età di quiescenza delle donne a quella degli uomini – e comunque sono tutti eccessivamente congiunturali. Ma ciò che conta sono i saldi finali, ed è importante che da questo punto di vista i conti tornino. Poi certo che sarebbe stato meglio riparametrare diversamente l’entità della manovra nei quattro anni – anche se è vero che per quest’anno e il prossimo si tratta di “code” a manovre già fatte – ma soprattutto che sarebbe stato tutto diverso se anziché aumentare le entrate si fossero tagliate le spese. Ma, parliamoci chiaro, l’alternativa non era più rigore maggiormente selettivo, bensì più spesa per comprare consenso.

E anche la parte relativa allo sviluppo, effettivamente mancante, non sarebbe stata figlia di un più incisivo taglio della spesa pubblica improduttiva – come testimonia l’affondamento della proposta di abolizione delle province, per mano non solo di Pdl e Lega ma anche per colpa dell’atteggiamento farisaico del Pd – bensì di un’irresponsabile aggiunta di deficit. Già così, la manovra lascia indefinita la parte (14,7 miliardi) che sarà inserita nella legge delega su fisco e assistenza sociale. Figuriamoci se si fossero mollate anche solo un poco le briglia: non avremmo avuto quella maggiore strutturalità che pure servirebbe e l’obiettivo della stabilità finanziaria sarebbe andato a farsi benedire.

Tuttavia, la tensione politica che intorno alla manovra ancora cova – nonostante il ritiro dell’improvvido provvedimento sui risarcimenti (non per il merito, ma per i tempi e modi del suo concepimento) – rischia di gettare benzina sul fuoco appiccato dalla speculazione. Non è il caso di mettere fine al più presto a questo strazio, prima che bruciamo tutti vivi?

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.