I nodi che soffocano la società sono ancora da sciogliere
I consigli a Franco Bernabè
La soluzione migliore per il futuro di Telecom è la Cassa depositi e prestitidi Enrico Cisnetto - 29 maggio 2009
Questa volta sono d’accordo con il sindacato, che protesta per i tagli di personale di Telecom Italia. E approvo la richiesta del ministro Sacconi quando chiede all’azienda “concessionaria di servizi di pubblica utilità” di bloccare i licenziamenti, usando gli ammortizzatori sociali disponibili. Intendiamoci, non è che Telecom non abbia bisogno di ristrutturarsi e di tagliare i costi, anzi. Ma, francamente, è difficile accettare sacrifici occupazionali, pur necessari, quando il management di un’azienda – ed è questo il caso di Telecom – si dimostra incapace di offrire agli azionisti e ai suoi dipendenti un progetto per il futuro.
Ha voglia, Franco Bernabè, di rispondere piccato a Corrado Passera che gli ricorda quanto ci sia ancora da fare in Telecom. E ha voglia di accusare i giornali quando scrivono che i grandi soci, dentro e fuori Telco, sono preoccupati: non è certo solo l’amministratore delegato di Intesa a mordere il freno. Il fatto è che sono passati 18 mesi da quando il duo Galateri-Bernabè si è messo alla guida della martoriata Telecom, e i grossi nodi che soffocano la società sono ancora tutti lì, da sciogliere.
C’è ancora un indebitamento netto elevato (34 miliardi al netto delle attività), specie perché accumulato non per acquisizioni o investimenti ma per mantenere la partecipazione di controllo. Ci sono, di conseguenza, un rapporto debito/ebit troppo alto (3 contro un 2 delle altre major europee delle tlc), un perimetro di attività che per quattro quinti è entro i confini nazionali, e una generazione di cassa insufficiente sia a ripagare il debito che a fare gli investimenti (sempre più necessari).
Certo, si tratta di una situazione ereditata, ma è pur vero che le cose stavano così già un anno e mezzo fa e che non sono emerse “sorprese”. Dunque, c’è stato tutto il tempo per farsi venire delle idee e per mettere in campo un piano strategico vero. Cosa che avrebbe aiutato anche la stabilizzazione degli assetti proprietari, visto che la spagnola Telefonica (che ha il 42,3% di Telco, azionista di riferimento con il 24,5% di Telecom) è sempre in bilico tra la condizione di sleeping partner e l’ambizione di fare bottino pieno.
In particolare, è sulla rete che ci si aspettava una qualche proposta. Non solo per evitare uno scippo, ma anche per far leva sull’unico asset disponibile. Io ho sempre detto, e lo confermo, che sarebbe sbagliato portar via per decreto la rete a Telecom. E ho pure sostenuto che pur essendo necessario ammodernare la rete veloce – visto che l’Adsl di seconda generazione copre solo il 56% della popolazione e la fibra ottica è da tempo ferma al 10% – non sta scritto da nessuna parte che all’Italia servano 100 mega al secondo per tutti, ma molto più modestamente basterebbe poter contare su una velocità garantita stabilmente di 2 mega (ora l’Adsl2+ ha addirittura 20 mbit/s ma spesso si viaggia a meno di uno), con una spesa di non oltre 10-15 miliardi.
Ma siccome nel piano Telecom 2009-2011 si parla di investire 700 milioni, come è logico con questa situazione dei conti, appare evidente che lo statu quo va superato. Allora, perché Bernabè non propone la creazione, con il concorso decisivo di Cassa Depositi e Prestiti, di una nuova società (Rete Tlc, si potrebbe chiamare) cui trasferire la rete e una congrua parte del debito (12-15 miliardi?) e del personale, da collocare sul mercato con uno spin-off tipo Enel-Rete Gas? Telecom potrebbe mantenerne una quota di minoranza – con altri operatori di tlc e investitori istituzionali soci – assicurandosi così la valorizzazione dell’asset (contrariamente all’esproprio) e la riduzione significativa del debito, e mettendo in condizione il Paese di rilanciare ammodernandolo il suo sistema di telecomunicazioni.
Certo, molti sostengono non a torto che privata della rete, la telefonia fissa e mobile di Telecom perderebbe valore e capacità di produrre reddito. Ma ci sono alternative? Se sì, sarebbe ora di tirarle fuori dai cassetti. Se no, si consideri che questa è anche la soluzione al nodo proprietario, visto che i motivi di salvaguardia dell’italianità – più che giustificati – per la sola attività retail verrebbero a decadere.
Inoltre, il gruppo potrebbe lanciarsi su nuovi business, come per esempio, una grande campagna di outsourcing dedicata alla piccola e media impresa che solo un gruppo articolato sul territorio come Telecom può fare. Ma per far tutto questo ci vogliono idee e “palle”. Le uniche due cose che giustificano anche i tagli occupazionali.
Ha voglia, Franco Bernabè, di rispondere piccato a Corrado Passera che gli ricorda quanto ci sia ancora da fare in Telecom. E ha voglia di accusare i giornali quando scrivono che i grandi soci, dentro e fuori Telco, sono preoccupati: non è certo solo l’amministratore delegato di Intesa a mordere il freno. Il fatto è che sono passati 18 mesi da quando il duo Galateri-Bernabè si è messo alla guida della martoriata Telecom, e i grossi nodi che soffocano la società sono ancora tutti lì, da sciogliere.
C’è ancora un indebitamento netto elevato (34 miliardi al netto delle attività), specie perché accumulato non per acquisizioni o investimenti ma per mantenere la partecipazione di controllo. Ci sono, di conseguenza, un rapporto debito/ebit troppo alto (3 contro un 2 delle altre major europee delle tlc), un perimetro di attività che per quattro quinti è entro i confini nazionali, e una generazione di cassa insufficiente sia a ripagare il debito che a fare gli investimenti (sempre più necessari).
Certo, si tratta di una situazione ereditata, ma è pur vero che le cose stavano così già un anno e mezzo fa e che non sono emerse “sorprese”. Dunque, c’è stato tutto il tempo per farsi venire delle idee e per mettere in campo un piano strategico vero. Cosa che avrebbe aiutato anche la stabilizzazione degli assetti proprietari, visto che la spagnola Telefonica (che ha il 42,3% di Telco, azionista di riferimento con il 24,5% di Telecom) è sempre in bilico tra la condizione di sleeping partner e l’ambizione di fare bottino pieno.
In particolare, è sulla rete che ci si aspettava una qualche proposta. Non solo per evitare uno scippo, ma anche per far leva sull’unico asset disponibile. Io ho sempre detto, e lo confermo, che sarebbe sbagliato portar via per decreto la rete a Telecom. E ho pure sostenuto che pur essendo necessario ammodernare la rete veloce – visto che l’Adsl di seconda generazione copre solo il 56% della popolazione e la fibra ottica è da tempo ferma al 10% – non sta scritto da nessuna parte che all’Italia servano 100 mega al secondo per tutti, ma molto più modestamente basterebbe poter contare su una velocità garantita stabilmente di 2 mega (ora l’Adsl2+ ha addirittura 20 mbit/s ma spesso si viaggia a meno di uno), con una spesa di non oltre 10-15 miliardi.
Ma siccome nel piano Telecom 2009-2011 si parla di investire 700 milioni, come è logico con questa situazione dei conti, appare evidente che lo statu quo va superato. Allora, perché Bernabè non propone la creazione, con il concorso decisivo di Cassa Depositi e Prestiti, di una nuova società (Rete Tlc, si potrebbe chiamare) cui trasferire la rete e una congrua parte del debito (12-15 miliardi?) e del personale, da collocare sul mercato con uno spin-off tipo Enel-Rete Gas? Telecom potrebbe mantenerne una quota di minoranza – con altri operatori di tlc e investitori istituzionali soci – assicurandosi così la valorizzazione dell’asset (contrariamente all’esproprio) e la riduzione significativa del debito, e mettendo in condizione il Paese di rilanciare ammodernandolo il suo sistema di telecomunicazioni.
Certo, molti sostengono non a torto che privata della rete, la telefonia fissa e mobile di Telecom perderebbe valore e capacità di produrre reddito. Ma ci sono alternative? Se sì, sarebbe ora di tirarle fuori dai cassetti. Se no, si consideri che questa è anche la soluzione al nodo proprietario, visto che i motivi di salvaguardia dell’italianità – più che giustificati – per la sola attività retail verrebbero a decadere.
Inoltre, il gruppo potrebbe lanciarsi su nuovi business, come per esempio, una grande campagna di outsourcing dedicata alla piccola e media impresa che solo un gruppo articolato sul territorio come Telecom può fare. Ma per far tutto questo ci vogliono idee e “palle”. Le uniche due cose che giustificano anche i tagli occupazionali.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.