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L’indagine nel Rapporto Italia 2006 Eurispes

I cattolici sono laici?

Riconoscersi in certi valori oggi è più esigenza identitaria che professione di fede

di Davide Giacalone - 20 gennaio 2006

Sono convinto che il peso politico della chiesa cattolica, in Italia, sia basso. La politica dei partiti si genuflette spesso, cerca l’appoggio delle gerarchie, ma lo fa per propria insipienza, più per debolezza morale che per cinico calcolo. A deporre in tal senso giunge un capitolo del Rapporto Italia 2006, realizzato dall’Eurispes.

Premetto che tutti quei dati vanno presi con le molle. Questi carotaggi sociali non servono a realizzare una foto esatta e veritiera, ed è un errore leggerli come se si possa dire che l’x per cento pensa questo o quello. Sono utili, però, a capire un umore, un movimento di fondo, una migrazione culturale. A far da bussola serve sempre il proprio modo di leggere le cose, la propria conoscenza della storia e delle diverse materie, e, perché no, il proprio fiuto. Detto questo, il rapporto dell’Eurispes racconta di un’Italia in cui cresce il numero di persone che si definiscono cattoliche (poco sotto il novanta per cento), meno di un terzo si ritiene praticante e, comunque, quasi tutti si ritengono liberi di pensarla come gli pare in merito a temi come il divorzio, l’aborto, le convivenze, il sesso e via dicendo. E’ naturale che fra quanti si definiscono cattolici sia più alta la percentuale del rifiuto, per esempio, in materia di divorzio, ma rimane sempre bassa. Insomma, capita che in tanta libertà vi siano anche fette d’opinione pubblica che la pensano come la pensa la chiesa, ma non in obbedienza alla chiesa stessa.

Il dirsi cattolici, allora, corrisponde più ad un’esigenza identitaria, diciamo culturale generale, che non ad una professione di fede. In quanto al rapporto fra fede e vita civile, fra precetti religiosi e leggi dello Stato, vige ed è vincente la più assoluta e laica separazione. Di questo dovrei essere felice, ed in effetti lo sono.

Ma… ma la faccenda non può essere liquidata in modo così semplice. Mi avventuro su un terreno scivoloso, però non si può non dire che un Paese sta in piedi se retto anche da un’etica civile. In Italia l’etica civile difetta, ed una qualche supplenza l’ha esercitata l’etica cattolica. Se si passa all’etica della convenienza, se si ammette che sia normale dirsi cattolici e poi abortire, si rischia di divenire l’impero dell’ipocrisia e del mendacio. Non si deve smarrire, insomma, il senso del dramma, che non significa abrogare quella legge, ma non nascondersi cosa l’aborto sia. E’ pericoloso, invece, prendere del cattolicesimo la parte più comoda, credere che la confessione (magari solo a se stessi) assolva dal peccato, credere che il peccare alleni alla virtù.

Capivo e capisco l’allarme di Giovanni Paolo II che metteva in guardia da una religione “fai da te”, ove la dottrina morale diventa un supermarket che consente ampia scelta e vasto rifiuto. Ed anche per chi, come me, non ha problemi di fede, il tema della coerenza morale si pone e deve porsi, perché è quello il brodo dove ribollono gli anticorpi che nella vita civile, politica, economica mostrano di essere così pochi e così debolucci.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.