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Agricoltura: la revisione dei Pac è necessaria

Hong Kong conferma l’impolitica europea

Le decisioni al forum nascono da un trust anti-Ue al quale Bruxelles non ha saputo reagire

di Antonio Picasso - 19 dicembre 2005

Se il Wto ha ripreso a camminare, l’Europa arranca ancora. Le previsioni davano per scontato il totale fallimento del vertice di Hong Kong sulla liberalizzazione del commercio internazionale. Certo, i contrasti in sede di discussione ci sono stati eccome, e così anche gli scontri di piazza nella metropoli cinese. Tuttavia, l’esasperato pessimismo ha fatto sì che un qualunque risultato ottenuto, sarebbe stato comunque soddisfacente.

Quella raggiunta al termine dei lavori è un’intesa di minima, che consente di tenere in piedi il ciclo negoziale sulla liberalizzazione degli scambi internazionali, avviato a Doha nel 2001 e bruscamente interrotto nel successivo incontro di Cancun. Certo, in termini assoluti, si tratta di risultati modesti. Ma, pensando al non nascosto scetticismo dei 149 Paesi partecipanti e della stampa internazionale, quanto stabilito è più che sufficiente. All’apertura dei lavori, il direttore dell’Organizzazione internazionale del commercio, Pascal Lamy, aveva promesso notevoli passi avanti. Per certi aspetti, gli si può riconoscere di esserci riuscito.

Fondamentale, in tutto questo, è l’accordo raggiunto sul capitolo agricoltura, con il 2013 indicato come l’anno limite per l’eliminazione, da parte di tutti i membri del Wto, dei sussidi all’export del settore. Impegni generici e non supportati da norme vincolanti, tuttavia, se prima dell’inizio del forum si parlava di una salita ripida e tortuosa per il “free and fair trade” – il commercio libero e leale – alla luce delle scelte adottate oggi, si può parlare di una strada ancora molto lunga, ma pianeggiante. Una piccola ma utile spinta, allora, per la lenta affermazione del mercato globale.

Ma che, per l’Unione europea, costituisce solo una vittoria di Pirro. E le dichiarazioni di “contenuta soddisfazione”, espresse dal commissario Ue al commercio, Peter Mandelson, ne sono la prova eloquente. La dilazione dal 2010 al 2013 della scadenza delle sovvenzioni all’agricoltura non è sufficiente. Vero è che tre anni in meno, rispetto a quanto stabilito, avrebbero costretto Bruxelles a una revisione anticipata della Pac, la politica agricola comunitaria. D’altro canto Francia e Italia – al contrario della Gran Bretagna – hanno sempre apprezzato quest’ultima, come una politica dirigista e di supporto alle rispettive agricolture. E questo stop imporrà una revisione del bilancio 2013-2019, oltre che un riassetto delle politiche agricole nazionali.

Elemento ancora più grave, però, è che Hong Kong conferma la totale mancanza di progettualità da parte della Commissione di Bruxelles. Al di là della cautela, atteggiamento patologico e diplomaticamente ovvio, che le delegazioni assumono solitamente durante questi particolari vertici, l’Europa non ha saputo trattare al fine di raggiungere un compromesso a lei effettivamente favorevole. Il 2013, infatti, è frutto di un’imposizione, più che di un accordo, tra i Paesi poveri, le economie emergenti (Cina, India e Brasile) e il colosso degli Stati Uniti, contro l’Ue. Quest’ultima è stata messa alle corde da un trust internazionale guidato da chi, apparentemente, dovrebbe farci da primo partner, commerciale e politico. Vale a dire gli Stati Uniti.

Motivo di tanta marginalizzazione è il basso profilo che l’Europa stessa attribuisce a questi eventi, insieme all’errato comportamento assunto. Il Wto è un’organizzazione internazionale competente in ambito economico. Tuttavia, la sua attività nasce e segue specifici percorsi politici. Bruxelles, invece, si ostina a distinguere la prima dalla seconda area. L’economia è una cosa, la politica un’altra. Si comporta come se fosse una società multinazionale che, con le istituzioni politiche, pretende di avere a che fare solo ai minimi livelli. Atteggiamento difettoso per tre motivi. Primo perché non esiste, e non è realizzabile, che una multinazionale si comporti in questo modo. L’intreccio tra economia e politica non è concussione, ma naturale interconnessione tra settori di intervento. Secondo, l’Unione europea non è una multinazionale. Terzo, e connesso a quello precedente, l’Ue aspira a un’identità politica riconosciuta sul piano internazionale e non si rende conto che, senza attività politica – bensì concentrando tutte le proprie forze nelle questioni economiche – una vera Europa, o meglio, gli Stati Uniti d’Europa non si realizzeranno mai.

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