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Approvata la riforma del Tfr: in vigore dal 2008

Hanno vinto tutti, ma qualcuno di più

Due anni ancora per fare lobbying. Sia per le assicurazioni, che per i sindacati

di Alessandro D'Amato - 24 novembre 2005

Hanno vinto tutti. O meglio, tutti diranno di aver vinto. Ma nell’approvazione della riforma del Tfr dopo un braccio di ferro durato due mesi nel Consiglio dei ministri c’è qualcuno che indiscutibilmente ha vinto più degli altri.

Il provvedimento, ha detto infatti il vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini, entrerà in vigore dal primo gennaio 2008. Si sono astenuti dalla votazione i ministri dell"Interno, Beppe Pisanu e degli affari regionali, Enrico La Loggia. Non ci sarebbe invece stato alcun voto contrario.
Ieri sera il ministro del Welfare Roberto Maroni aveva ribadito che “non c’è più tempo per i rinvii”, mentre il ministro della Funzione Pubblica Mario Baccini, aveva chiesto “una pausa di riflessione”.
Che di fatto ha ottenuto, con un rinvio di due anni dell’entrata in vigore della riforma: “Le proposte della nostra delegazione, dell"Udc, sono state accolte: una moratoria fino al 2008 e la tutela per la piccola impresa”, ha detto infatti Baccini.

Questo il risultato finale. Facciamo un passetto indietro, però, e andiamo a vedere gli schieramenti in campo. Da una parte c’erano Maroni, Calderoli, Alemanno e altri ministri di An. E questo, anche se può sembrare strano, era lo schieramento dei sindacati: infatti il titolare del Wefare lavora da due anni a questa riforma, e l’ha fatto in pieno accordo con Cgil, Cisl, Uil e la gran parte delle altre associazioni di categoria. E se ne capisce il perché: sono i sindacati a gestire i fondi chiusi, i quali però sono semplici “scatole”. Non investono infatti sul mercato azionario in prima persona, ma lo fanno fare a sim, compagnie di assicurazione, banche. Tutto quello che incassano oggi (e dal 2008 incasseranno) dal Tfr lo devolvono a chi investe sul mercato per loro conto. Sarebbe una partita di giro, se non fosse che comunque i fondi chiusi si prendono una percentuale per il disturbo. Questo succede già nei vari Fonchim, Cometa eccetera, e succederà a partire dal 2008, forse. Quindi i sindacati tifavano per Maroni, con il quale avevano scritto il testo della legge.

Dall’altra parte c’erano Baccini, Tremonti e altri ministri di Forza Italia. E questa era la parte delle assicurazioni, anche se Baccini tenta di far credere il contrario. Le assicurazioni volevano “concorrenza libera” tra fondi chiusi e aperti, e parità sul mercato tra gli uni e gli altri. In particolare, chiedevano che tutto il Tfr venisse trasferito ai fondi aperti nel caso che il lavoratore scegliesse quelli, anche la parte dell’azienda che, secondo la legge Maroni, veniva defalcata per restare in azienda. Maroni aveva offerto di votare la riforma così com’era e poi rivedersi tra un anno per tirare le somme, modificando quel che c’era da modificare. Le assicurazioni avevano detto che così non si poteva fare, perché in quel caso i lavoratori (che potevano scegliere entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, il primo gennaio 2006), avrebbero già fatto la loro scelta e sarebbe stato difficile farli tornare indietro.

Allora che è successo? E’ successo che la riforma entrerà in vigore così com’è (secondo Maroni) dal 2008. Così tutte le compagnie di assicurazione avranno ancora due anni di tempo per fare una attività di lobbying (legittima) e cambiare la legge, e nel frattempo potranno continuare a vendere le loro pensioni integrative sul mercato senza avere un concorrente nei fondi chiusi. E’ certo comunque che le assicurazioni avevano e hanno molte ragioni in questa battaglia: è vero che, così com’era, la riforma non assicurava la piena concorrenza dal lato dell’offerta. Tuttavia, ci possono essere delle motivazioni tecnico-politiche dietro la scelta di preferire i fondi chiusi: sono soggetti nuovi a cui possono essere imposti limiti specifici, sono un soggetto “terzo” nel mercato finanziario che aumenta la pluralità degli interessi, e i fondi possono indirizzare quella massa di denaro verso destinazioni utili al sistema Italia (i mercati obbligazionari, il private equity e la Borsa).

Quindi, anche se a gioire sono formalmente tutti, sono di sicuro le assicurazioni a poterlo fare più degli altri: visto che la loro azione, esercitata in soli due mesi, ha portato così significativi cambiamenti alla legge, in due anni sicuramente riusciranno a portare a casa ancora qualcosa di più. Intanto, tutti i giornali hanno fatto notare il conflitto di interesse di Silvio Berlusconi, azionista di minoranza di Mediolanum (la compagnia di assicurazione di Ennio Doris). Dicendo che una mediazione bisognava pure trovarla, visto che “In Mediolanum stat virtus”. Però pochi hanno fatto notare il conflitto di interessi altrettanto grave dei sindacati confederali, che adesso (o tra due anni, forse…) si trovano a gestire un patrimonio considerevole (13 miliardi di euro, più della metà della prossima Finanziaria) in una situazione di poca trasparenza (è assai difficile capire, dal sito della Covip, quanto costi di commissione un fondo pensioni) e senza investire in prima persona nel mercato azionario.

In tutto questo, ciò che stupisce è la dichiarazione di Guglielmo Epifani rilasciata qualche ora prima dell’approvazione. Il segretario della Cgil ha dichiarato che la riforma da sola non basta: “Gran parte degli investimenti - ha sottolineato - sarà destinata a Borse e mercati stranieri”. Il rischio è che “gran parte di questi investimenti vada oltre frontiera”. Beh, se proprio ci tiene a far investire sul mercato azionario nazionale, lo raccomandi ai fondi chiusi.

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