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Reale pericolo è il fondamentalismo tout cours

Guantanamo: un errore se chiude

Bush subisce forti pressioni interne e europee, ma la guerra al terrorismo continua

di Davide Giacalone - 22 giugno 2006

Preparandosi al vertice europeo atlantico di Vienna il Presidente Bush ha detto che gli piacerebbe chiudere il carcere di Guantanamo, venendo così incontro ai desideri di non pochi leader europei, e risolvendo anche un problema aperto con l’opinione pubblica. Gli Stati Uniti sono una grande democrazia, il che porta a dovere tenere in conto gli umori dell’elettorato. Sono anche una potenza planetaria, il che porta a non potere dimenticare neanche l’opinione pubblica estera. Gli Stati Uniti sono un paese libero, e libero è il mondo sul quale esercitano influenza, questo ha fatto sì che la segreta e non garantita prigione di Guantanamo è stata uno dei luoghi più fotografati e cineripresi del pianeta. Ma la faccenda non è così semplice, ed i militanti delle organizzazioni per i diritti umani farebbero bene a riflettere, prima di manifestare. Guantanamo fu scelta, dopo l’11 settembre, come zona extraterritoriale, dove, di fatto, sospendere ogni regola del diritto. Una nazione che avesse subito l’attacco bellico terrorista subito dagli Usa avrebbe ben potuto adattare il proprio diritto interno alla nuova situazione, avrebbe potuto inasprire la repressione, avrebbe potuto concedersi di arrestare e tener prigionieri senza andar troppo per il sottile. L’Italia lo fece, durante gli anni del terrorismo comunista. Ma, a ragione, i leader americani ritennero che questo era un prezzo troppo alto, così si scelse una via intermedia: sospensione del diritto, ma non sul territorio federale. Si accettò di andare in guerra senza potere dichiarare guerra, e di combattere con gli arresti senza potere puntare a dei processi. Fu ingiusto? Fu il minimo che si potesse fare. Le condizioni dei prigionieri erano troppo dure? Comode non erano di sicuro, ma neanche inumane, dato che alcuni di quei detenuti li ho ascoltati in interviste televisive mentre raccontavano la loro esperienza. Ora, quelli che si lamentano del fatto che non li si trattò da cittadini americani, sanno quale sarebbe stata la sorte di questi uomini se consegnati nelle mani delle autorità dei loro paesi? Sarebbero morti dopo torture, perché se innocenti sarebbero stati perfetti per far vedere quanto determinata fosse la politica contro il terrorismo, e se colpevoli per evitare che venisse loro in mente di raccontare a qualcuno quel che sapevano. Siccome il mondo non è fatto di bene e male, ma di meglio e peggio, anche quest’aspetto sarà da tenere nel conto. Fatto è, comunque, che i regimi emergenziali non possono reggere a lungo, nemmeno se è l’emergenza stessa a protrarsi nel tempo. Così, incalzato dalla Corte Suprema, il niente affatto imperiale presidente americano deve mettere nel conto che anche a Guantanamo si cambia musica. Per chi ha a cuore le ragioni della libertà e dei diritti, si tratta di una buona cosa. Buona non perché chiude una brutta esperienza (che non si chiude manco per niente), ma perché nasce da una sana dialettica fra poteri interni ad una democrazia. Ma quelle stesse ragioni, quelle stesse aspirazioni di libertà e diritto, mi spingono a sottolineare che Guantanamo è un’increspatura, laddove la tempesta che affoga l’umanità è agitata dal fondamentalismo religioso e dal terrorismo internazionalmente organizzato. Su quel fronte la guerra continua, e la guerra è brutta, cattiva, sanguinosa, incivile, efferata, violenta. Comunque migliore della pace dei cimiteri.

www.davidegiacalone.it

Pubblicato su Libero del 22 giugno 2006

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