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Public Policy

Le alternative greche

Grecia e democrazia

La decisione condizionata di Atene scatenerà inevitabilmente ulteriori tensioni

di Enrico Cisnetto - 10 febbraio 2012

All’esecutivo Monti si possono muovere tutte le critiche possibili per come ha condotto la fase uno e la fase due (alcune fondate), si può considerare effimero (sbagliando) il successo che ha avuto al tavolo europeo e persino con Obama, insomma si può essere antipatizzanti quanto si vuole ma se si confronta la condizione dell’Italia con quella della Grecia di queste ore, non si potrà che concludere che questo governo è benedetto e che facciamo bene a tenercelo stretto. Perché la situazione di Atene non è solo compromessa dal punto di vista economico-finanziario, ma è a dir poco drammatica anche sotto il profilo socio-politico, della stessa tenuta della democrazia. E l’Europa, tanto quella rigorista alla tedesca quanto quella più comprensiva (e qualche volta più lassista), farebbe bene a tenerne conto.

Il pericolo non è soltanto il default e l’uscita dall’euro – che possono essere scongiurati se si trova un accordo che soddisfi chi, Merkel e Sarkozy, vuole certe garanzie in cambio degli aiuti – ma anche la rivolta sociale e le tentazioni autoritarie, così come forme di “commissariamento” tali da annullare la volontà popolare e trasfigurare la democrazia rappresentativa. Inutile girarci intorno, la Grecia è di fronte ad un bivio egualmente pericoloso: se obbedisce alla richieste dei “soccorritori” – per molti versi comprensibili, sia chiaro – abdica alla propria sovranità e inaugura nell’Europa della moneta unica un’inedita forma di democrazia “sotto tutela”; se si ribella, crolla finanziariamente ed è costretta a uscire dall’eurosistema, con ripercussioni drammatiche su un’economia rural-turistica che con il ritorno alla dracma strapagherebbe le importazioni e non si avvantaggerebbe della svalutazione (50%) perché esporta poco o niente.

Si dirà: se le alternative sono queste, meglio perdere la virtù democratica. Probabilmente è la risposta che avrebbero dato anche i greci, se solo gli avessero fatto il (sacrosanto) referendum che Papandreou voleva indire e che gli è costato le dimissioni, date per lasciare il passo ad un governo “tecnico”. Ma averlo impedito – responsabilità che è tutta a carico della signora Merkel – ha reso esplicito che in cambio degli aiuti promessi dalla “troika” (Ue-Bce-Fmi) i tedeschi pretendono che la Grecia rinunci alla sovranità fiscale. Rinuncia esplicita, attribuendo per legge a Bruxelles il potere di veto e controllo sul bilancio. Come all’epoca della diplomazia delle cannoniere, quando l’Egitto rinunciava ai proventi doganali in favore dei creditori anglo-francesi, o il Marocco accettava la “protezione” di Parigi. Intendiamoci, essendo favorevole alla creazione di una vera sovranità fiscale europea che renda possibile la federalizzazione del debito pubblico dell’eurozona, trovo comprensibile chiedere ai greci – che peraltro hanno grossolanamente falsato i conti pubblici e che faticano a ridurre il deficit perché non si convincono di dover smettere di vivere al di sopra delle loro possibilità come hanno sempre fatto – di accettare di andare in “amministrazione controllata”.

Resta il fatto, però, che la Ue ha sempre avuto esplicite basi democratiche, tanto che quando i paesi membri hanno trasferito quote di sovranità all’Unione – purtroppo insufficienti, avendo creato una moneta unica – ciò è avvenuto mediante trattati ratificati dai Parlamenti o addirittura dai cittadini stessi mediante referendum. Tuttavia, l’ultimo patto europeo, quel “fiscal compact” che introduce nuovi vincoli in materia di bilancio e di debito, è stato derubricato da “trattato” ad “accordo intergovernativo” proprio per evitare complicate ratifiche. Ma deve essere chiaro che senza questo passaggio s’incrina il fondamento democratico europeo, e non è un caso che ieri Draghi abbia detto che la firma del fiscal compact “testimonia la volontà degli stati europei, specie quelli maggiori, di rinunciare a parte della sovranità anche cambiando le Costituzioni”. Già, ma cambiare le carte fondative significa avere il consenso dei propri cittadini. Per questo sarebbe ancor più pericoloso privare la Grecia della sovranità fiscale, cioè di uno degli aspetti essenziali della sovranità economica, già persa in parte con la rinuncia alla moneta nazionale, senza consultare i greci, cioè i titolari attuali di tale residua sovranità.

Dunque, non era meglio attendere che ci fossero le elezioni, avendo preventivamente spiegato ai greci quali sono le condizioni che (giustamente) pone l’Europa e il Fondo Monetario per aiutare il loro paese ad uscire dal disastro? Lo so che la Grecia fallisce formalmente entro il 27 marzo se non intervengono nuovi aiuti, e che ora il tempo per indire delle elezioni non c’è. Ma prima, non c’era forse? E il referendum, perché è stato impedito? Occhio vecchia Europa, da un lato ti giochi l’euro ma dall’altro la democrazia.

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