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Liberalizzazioni riuscite e mancate

Grazie Marco Biagi

Bersani impari come si liberalizza un mercato. I dati sulla disoccupazione parlano chiaro

di Davide Giacalone - 23 marzo 2007

La più grande liberalizzazione fatta, ancora non completa, sta dando frutti preziosi. Si tratta delle legge Biagi, che ha liberato i lavoratori dai vincoli di un mercato del lavoro corporativizzato, consentendo così un significativo riassorbimento della disoccupazione che, nel 2006, scende al 6.8%, toccando il minimo dal 1993. Una bella notizia, per chi ha creduto nella lezione di Biagi una conferma, ma cancellata dalle prime pagine dei giornali, dove si affacciano, invece, le lenzuolate Bersani e le lezioncine a ditino alzato.

Altro oppositore della Biagi è l’attuale ministro del lavoro, Damiano, il quale ritiene che il dato positivo sia in realtà frutto della regolarizzazione degli immigrati e dei contratti a termine, quindi precari. I dati gli danno torto. In ciascuna delle tre aree del Paese, nel 2006, hanno trovato occupazione più italiani che stranieri, ma la cosa più importante è che la percentuale d’italiani rasenta la totalità nel meridione, dove più alta era, e resta, la disoccupazione. Questo significa che la rigidità del mercato del lavoro è nemica dei giovani meridionali ed è amica del mercato nero, che manifesta la sua vitalità evadendo ogni regola fiscale e previdenziale. Quanto alla solfa del precariato sarà bene ricordare che l’alternativa è la disoccupazione secca. Il che può piacere ai politicanti che speculano sul disagio, ma non agli interessati né al mercato.

Questa liberalizzazione del lavoro, questa liberazione dei lavoratori, chiede d’essere proseguita e completata, mentre, al contrario, forze della maggioranza ed esponenti del governo chiedono di amputarla e distruggerla. Suggerirei a Bersani, che si sente nei panni di un novello Adam Smith, di far due chiacchiere con i colleghi. Già, perché pensare che un mercato possa andare verso la liberalizzazione annunciando aumenti di taxi e di licenze che non arrivano mai, in compenso conservando le tariffe amministrate, o cambiando per decreto la struttura di una tariffa telefonica, salvo poi dovere correre a convertire il decreto quando il mercato si è già adeguato, è segno d’idee a dir poco confuse. Certo, l’Italia ha bisogno di liberalizzazioni e di battere i corporativismi. Vale anche per il mercato del lavoro, giusto per non dare brioches e ricariche telefoniche ai disoccupati.

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