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Il ministro dell’Economia ci mette il carico

Governo Padoa Schioppa-Almunia-Trichet

Gli esempi per come aggiungere benzina ci sono. Bisogna cambiare il motore Italia però

di Enrico Cisnetto - 26 maggio 2006

Che non fosse il “governo Prodi”, era chiaro fin dal 10 aprile. Ma ora sappiamo a chi intitolare il nuovo esecutivo che con il voto di fiducia della Camera ha definitivamente preso il via: siamo di fronte al “governo Padoa Schioppa-Almunia-Trichet” con l’appoggio esterno delle principali agenzie di rating. E con una variante: il “sub-governo Bersani”. Vado a spiegarmi.
Con l’intemerata sulla condizione della finanza pubblica – che non sarebbe molto dissimile da quella molto drammatica di inizio anni Novanta: un giudizio che condivido pienamente, come si può arguire dal mio ormai decennale insistere sul declino del Paese – Tommaso Padoa Schioppa ha giocato una pesantissima carta di condizionamento dell’azione del governo. Il quale, ebbro delle promesse elargite in campagna elettorale, rischia altrimenti di bruciare i suoi primi cento giorni a cancellare le norme del governo Berlusconi più prese di mira – dalla legge Biagi alla riforma Moratti – e a pagare le cambiali di natura fiscale, come la riduzione del “cuneo”, che ha firmato. Di fronte a questa prospettiva, il nuovo ministro dell’Economia ha subito messo in chiaro che l’opera di risanamento finanziario che occorre fare è tale da non lasciar spazio ad alcun cedimento, neppure agli obblighi assunti nei confronti degli elettori. E il farlo senza neppure attendere il risultato della due diligence sui conti pubblici da lui stesso voluta, lo mette al riparo anche dalla polemica, che già si profila, sull’eventuale “buco” lasciato in eredità dal centro-destra.
Ma Padoa Schioppa si è mostrato un professionista che non trascura i dettagli: così ha condito la sua uscita – un discorso “privato” rivolto ai dirigenti del Tesoro, fatto sapientemente trapelare sui giornali – con una cena con il commissario Ue “Economic and Monetary Affairs” Joaquin Almunia, e con un messaggio “spontaneo” della Bce di Jean Claude Trichet sulla necessità di avviare subito una manovra correttiva. Cui si sono aggiunti, buon peso, l’indicazione di Standard & Poor’s che neppure una riduzione del deficit corrente ci salverebbe da un downgrade del rating sul nostro debito e la decisione della Fitch di metterci sotto osservazione in quella sorta di purgatorio che è il rating watch negativo. Senza contare l’invocazione di “riforme audaci” da parte dell’Ocse.
Insomma, Padoa Schioppa sta facendo quello che all’inizio della scorsa legislatura avrebbe dovuto fare il duo Tremonti-Berlusconi, e che non fece neppure dopo che l’11 settembre gli aveva offerto un alibi, falso ma irripetibile, per scaricare altrove la responsabilità di una scelta impopolare. Sta, cioè, cercando di costringere il Paese a prendere atto dell’amara realtà della sua condizione di grave malato. E sta avvertendo Prodi e i suoi colleghi di governo che nel 1996 il messaggio vincente del centro-sinistra era stato “la lira nell’euro”, oggi quello necessario è “non dobbiamo farci cacciare dall’euro”. Un rischio che appare meno remoto di quanto s’immagini, e che comunque va usato come arma per indurre un paese vizioso alla virtù.
Opera meritoria, quella dell’ex banchiere della Bce, anche se rimane il dubbio che possa riuscire. A dare una mano a Padoa Schioppa – non so se l’unica, ma certamente la più seria – è il ministro per lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani, il cui intervento ieri all’assemblea di Confindustria non a caso è stato apprezzato dagli imprenditori mille volte più di quello, sciapo e inconcludente, di Romano Prodi. Si dirà: ma Bersani ha da spingere il pedale dalla crescita, non quello del freno dei conti fuori controllo. Vero. Ma da lui ieri sono venute due consapevolezze decisive per il governo delle variabili economiche. La prima, appunto, riguarda la necessità di rendere cosciente l’opinione pubblica – finora “narcotizzata” da bugie (profuse da entrambi i poli, aggiungerei) – che ci vogliono interventi strutturali per dare connotati europei alla finanza pubblica. E dicendo che “non si potrà contare sulla comprensione degli italiani”, Bersani ha fatto chiaramente intendere che bisognerà assumersi la responsabilità di decisioni “pesanti”. La seconda consapevolezza mostrata dall’esponente Ds (che sarebbe stato più adatto a fare il presidente del Consiglio), riguarda la politica industriale, o se si vuole la necessità di una “politica dell’offerta” più che una “politica della domanda”, il che si traduce in una definizione di settori ed aree su cui puntare, un po’ secondo il modello francese dei poli d’eccellenza, sapendo che siamo nel pieno di un processo selettivo, determinato dalle nuove tecnologie e dalla globalizzazione, dal quale è sicuro che non usciremo come ci siamo entrati. Ergo, Padoa Schioppa risani e liberi risorse che Bersani investirà per cambiare il motore della macchina e creare le infrastrutture per farla correre, e non banalmente per mettere un po’ di benzina nella vecchia sgangherata “auto Italia”.
Magari. Ma, francamente, rimane un po’ difficile credere che questo, alla fine, non sarà il “governo Prodi”, figlio di una maggioranza “limitata” e “frammentata” (definizioni dell’Ocse), a sua volta figlia di un sistema politico virtualmente fallito. A meno che.....A meno che Padoa Schioppa e Bersani non colgano il suggerimento lanciato ieri da Montezemolo, vera novità dell’assemblea di Confindustria: l’Assemblea Costituente come strumento per riscrivere le regole e voltare pagina.

Pubblicato sul Foglio del 26 maggio 2006

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