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Intenazionalizzazione della valuta

Global renmimbi

Il nodo della moneta cinese che sta diventando cruciale nello scacchiere globale

di Davide Giacalone - 28 marzo 2012

Mario Monti, nel suo viaggio asiatico, suggerisce ai suoi interlocutori investimenti in Italia. E’ giusto ed è nel reciproco interesse. Si consideri, però, l’aspetto monetario: mentre noi c’incaponiamo a costruire l’euro dei parametri, in una specie d’incubo meccanico nel quale ricondurre la vita, le speranze e le necessità degli europei, la Cina s’appresta a far valere la propria forza anche nel campo delle valute. Nel giro di poco tempo noi ci ritroveremo con una moneta difensiva, con cui pretendiamo di chiuderci al mondo e conservare un paradiso che gli abitanti non riconoscono come tale, loro, invece, proveranno a costruire una moneta d’attacco, con la quale espandere l’influenza economica. Ed è naturale che lo facciano, glielo chiediamo da tempo, del resto. Il problema non sarà la loro moneta, ma la nostra.

Oggi il renminbi non è convertibile e ha un tasso d’internazionalizzazione trascurabile. Ma il governo cinese punta a cambiare questa situazione. Già ricordano che se l’internazionalizzazione (vale a dire la quantità di moneta, scambi e transazioni contabilizzati in quella valuta, fuori dal Paese cui appartiene) era pari allo 0,02% nel 2010, è già allo 0,41 l’anno successivo. Ma sono sempre quote trascurabili. Magari lo è meno apprendere che la Nigeria ha integrato il renminbi fra le valute di riferimento per i suoi scambi internazionali, laddove ciò è importante non tanto per il volume degli scambi nigeriani (comunque considerevole, e petrolifero), ma per la pervasività dell’influenza e della presenza cinese in Africa. Dopo decenni di aiuti occidentali, talora finiti a finanziare massacratori, i cinesi procedono con minore clamore e maggiore efficacia. Né impressiona il fatto che il renminbi sia nella contabilità di Hong Kong, perché l’ex città autonoma è stata da tempo integrata, pur con garanzie e specialità, nella Cina popolare. Il dato importante è questo: fra il 2030 e il 2040 la Cina conta di portare l’internazionalizzazione della propria moneta al 20%. Considerato che l’euro viaggia attorno al 35, mentre il dollaro statunitense si colloca a circa il 54%. Ciò significa che il mondo del prossimo futuro, almeno quello visto dalla Cina, avrà tre pilastri monetari, non più solo due.

Questo si aggiunge alla forza commerciale della Cina e ai suoi ritmi di sviluppo. Quelli, per intenderci, che collocano al 2025 l’anno in cui il prodotto interno del gigante asiatico diventerà il più imponente del mondo. Tutto questo avviene non senza problemi, contraddizioni e paure. La Cina viaggia a velocità enorme portandosi dietro vagoni che sbandano. Ma lasciamo da parte questo aspetto (ci tornerò), per meglio comprendere il nostro problema: se la gara si fa dura, se i competitori sono agguerriti, se dallo specchietto retrovisore si vedono sopraggiungere quanti vogliono tagliare il traguardo, non è affatto ragionevole affidarsi al pilota automatico. L’euro dei parametri e dei debiti, la moneta amministrata in modo da svalutare non il suo corso, ma la vita di chi con quella contabilizza guadagni e spese, è una vettura di formula uno, con un motore potentissimo, ma con il bloccasterzo inserito. Con il guaio aggiuntivo che taluno sostiene l’opportunità di tenere fermo il volante, così si evitano virate fastidiose. E’ questo il motivo per cui guardiamo con preoccupazione al muro che s’erge in fondo al rettilineo, ed è lo stesso motivo per cui chi non aveva macchine monetarie adatte alla competizione pensa oggi di passare a un regime di convertibilità, pagarne il prezzo in termini di minore facilità nelle esportazioni, ma così scendendo in pista e bruciando quei fessi rombanti con le ruote bloccate.

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