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Public Policy

La bancarotta della giustizia. Dove finiremo?

Giù le mani dalla Gozzini

È ora di capire che i magistrati hanno delle responsabilità da assumersi

di Davide Giacalone - 04 ottobre 2007

La cagnara che si sta montando sulla legge Gozzini è scandalosa. Il governo e le forze politiche (comprendenti larga parte dell’opposizione) che hanno votato l’indulto, ovvero la liberazione di tutti, in via definitiva, a prescindere dalla pericolosità, ora sarebbero pronte a manomettere una legge certamente perfettibile, ma sostanzialmente giusta e buona. Incapaci di assicurare la sicurezza dei cittadini sono pronti ad inseguirne le fobie, per giunta disinformandoli e mettendoli fuori strada. Tutto questo perché manca il coraggio di dire che se un criminale si trova in libertà, se con tre ergastoli se ne va a spasso con quattro pistole, non è manco per niente responsabilità della Gozzini, ma di un giudice che ha fatto malissimo il suo mestiere. Anzi: cui si dovrebbe far cambiare mestiere. I benefici previsti dalla Gozzini non eliminano la certezza della pena (che non esiste, ma per ben altri motivi) e non sono un diritto dei detenuti.

Chiaro? Non sono diritti dei detenuti. Sono opportunità offerte a chi le merita. Per meritarle entrano in gioco diversi fattori, dalla condotta in carcere alla valutazione della personalità. Siamo tutti consapevoli che giudicare di queste materie è difficile e chi ne è incaricato merita il massimo rispetto. Ma se si scarcera un terrorista, un assassino che non si è mai pentito, che non si è mai dissociato, che non ha mai collaborato, che si vanta di essere un duro, allora non è con la legge che bisogna prendersela, ma con chi ha preso quella dissennata decisione. E non importa che ci siano rapporti di colleghi o di psicologi o di altri malconcepiti burocrati, perché scarcerare chi continua a ritenere giusta la lotta armata è un’assurdità. Ho visto, al telegiornale, il magistero responsabile di questo madornale errore. Egli ha detto: tornassi indietro, nelle condizioni date, rifarei quel che ho fatto. Viva la sincerità, ma proprio per questo quel signore non è idoneo a giudicare.

Chi glielo dice che deve andare via? Il Csm? Suvvia, deve proprio essersi iscritto alla corrente sbagliata perché gli capiti non dico il licenziamento, ma anche solo un benevolo buffetto. Glielo dice la politica che se la fa sotto anche solo a parlare di responsabilità dei magistrati? Glielo dice il presidente del Csm, che è il Presidente della Repubblica? Non glielo dice nessuno. Ma siccome non c’è italiano che non veda lo scempio, allora si agita la muleta della Gozzini: forse è ora di rivederla. No, forse è ora di piantarla con questi quattro demagoghi al servizio del corporativismo togato. Forse è ora di capire che la bancarotta della giustizia ha molto a che vedere con le responsabilità dei magistrati. Non solo loro, certo, ma anche loro.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.