La colpa è tutta della corporazione?
Giudici socialmente inutili
In un Paese senza legalità le colpe più grosse ricadono sulla politicadi Davide Giacalone - 14 gennaio 2008
Numerosi giudici milanesi si sono definiti “lavoratori socialmente inutili”. E’ vero. Scrivono: “oggi pm, avvocati e giudici percepiscono lo stipendio (tutti dallo Stato) per fornire una giustizia penale del tutto inutile”. E’ così. Fra poco arriveremo all’inutilissimo rito dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, dove si sprecheranno le solite geremiadi al vento, magari anche con il grottesco ed offensivo sventolio della non digerita Costituzione, poi ciascuno tornerà ad occuparsi dei propri interessi corporativi. Hanno ragione, quindi, i giudici di Milano, come ieri davamo ragione alla dottoressa Bocassini, ma è anche colpa loro.
E’ colpa di una corporazione il cui ventre molle tace e fa carriera, sempre rifiutando veri e seri controlli di competenza, cultura e produttività, ma accettando le camarille correntizie. Il processo penale è fermo, anche perché il legislatore non fa passare giorno senza scassare codici e procedure. Ma quel processo non funzionerà mai se non se ne accetta la necessaria premessa logica: la separazione delle carriere fra accusatori e giudici. La corporazione ha sempre rifiutato questa ovvietà, comune a tutto, dicasi tutto, il mondo civilizzato.
E’ colpevole, pertanto, d’avere perseguito i propri miserabili interessi calpestando il diritto. In quel senso non sono solo inutili, sono anche dannosi. C’è oggi chi se ne rende conto? Bene, la smetta di piagnucolare e si ponga fuori dal coro, rompa l’omertà di casta, rivolga lo sguardo ai sistemi che funzionano. Non cerchino compassione, comunque non l’avranno da chi, come noi, queste cose le scrive e denuncia da moltissimo tempo.
La colpa è tutta della corporazione? Assolutamente no, le colpe più grosse ricadono sulla politica. Non che sia stata peggiore della corporazione, è che non ha saputo essere migliore. E ricadono anche sulla cultura, sulle cattedre, sulle anime superflue di chi non sa far lezione perché del diritto ha smarrito il senso. La bancarotta giudiziaria, sommata alla vigliaccheria politica e unita all’insipienza culturale hanno modellato un Paese senza più legalità. Guardate Napoli, ed imparate dove si va a finire. Se quei giudici milanesi lo hanno capito, che siano benedetti. Se è solo una trovata pubblicitaria, come altre in passato, almeno è autobiografica e meritata.
Pubblicato da Libero
E’ colpa di una corporazione il cui ventre molle tace e fa carriera, sempre rifiutando veri e seri controlli di competenza, cultura e produttività, ma accettando le camarille correntizie. Il processo penale è fermo, anche perché il legislatore non fa passare giorno senza scassare codici e procedure. Ma quel processo non funzionerà mai se non se ne accetta la necessaria premessa logica: la separazione delle carriere fra accusatori e giudici. La corporazione ha sempre rifiutato questa ovvietà, comune a tutto, dicasi tutto, il mondo civilizzato.
E’ colpevole, pertanto, d’avere perseguito i propri miserabili interessi calpestando il diritto. In quel senso non sono solo inutili, sono anche dannosi. C’è oggi chi se ne rende conto? Bene, la smetta di piagnucolare e si ponga fuori dal coro, rompa l’omertà di casta, rivolga lo sguardo ai sistemi che funzionano. Non cerchino compassione, comunque non l’avranno da chi, come noi, queste cose le scrive e denuncia da moltissimo tempo.
La colpa è tutta della corporazione? Assolutamente no, le colpe più grosse ricadono sulla politica. Non che sia stata peggiore della corporazione, è che non ha saputo essere migliore. E ricadono anche sulla cultura, sulle cattedre, sulle anime superflue di chi non sa far lezione perché del diritto ha smarrito il senso. La bancarotta giudiziaria, sommata alla vigliaccheria politica e unita all’insipienza culturale hanno modellato un Paese senza più legalità. Guardate Napoli, ed imparate dove si va a finire. Se quei giudici milanesi lo hanno capito, che siano benedetti. Se è solo una trovata pubblicitaria, come altre in passato, almeno è autobiografica e meritata.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.