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La politica estera e la sinistra italiana

Giocando al bipolarismo si rischia

Berlusconi guidava un Governo d’anomalia? Si, ma almeno aveva una politica estera

di Davide Giacalone - 22 marzo 2007

Il bipolarismo forzato e rabberciato, il volere per forza calare l’Italia nella forma bipolare, ha responsabilità specifiche e gravissime nel campo della politica estera. Non si tratta di prendersela con il bipolarismo in sé, che rimane un’interpretazione appagante della democrazia, né si deve cadere nell’illusione che i guai possano essere risolti da questo o quel sistema elettorale, che sono solo strumenti al servizio di un’idea, di una mappa della democrazia. Non funziona nessun bipolarismo, né alcun sistema elettorale, se i protagonisti della politica fanno del trasformismo e dell’avarizia morale i pilastri su cui poggiare.

Non ricordo più quante volte ho letto che con Berlusconi, prima in politica e poi al governo, l’Italia segnalava al mondo la sua anomalia. “Anomalia”, per la verità si sono usati vocaboli assai più coloriti. Dell’operato politico di Berlusconi si può condividere nulla, poco, tanto o tutto, e certo noi non abbiamo risparmiato critiche, né le risparmiamo oggi. Ma la mia anima atlantica non ha mai provato momenti di disagio nel corso della scorsa legislatura. Certo, non mi piaceva l’idea che si trattasse con i terroristi che rapivano qualche connazionale incosciente (e lo dicevo), ma si è sempre avuto cura di farlo senza logorare i rapporti con i nostri alleati politici e militari. Non erano sempre promettenti i rapporti con il governo russo, ma era anche felicemente chiara la scelta a favore della difesa d’Israele. Dovessi scegliere un tema per il quale quel governo merita il voto migliore, sceglierei la politica estera. Il governo Prodi è insediato da solo pochi mesi, ma peggio di quel che ha fatto, in politica estera, era quasi impossibile. Quell’isolamento internazionale, quell’essere additati quale eccezione negativa, tanto irragionevolmente paventati in passato, sono divenuti tristissima realtà.

Le trattative per il rilascio di Mastrogiacomo non sono solo state gestite malissimo, in un quadro di rara insensibilità morale e politica, ma sono state il culmine di un progressivo disallineamento dell’Italia dalle sue alleanze ed il detonatore di un’aderenza postuma a quel movimento, appunto dei “non allineati”, che ebbe come protagonisti gente alla Tito, alla Ceausescu o alla Castro. Ed è qui che torna il problema del bipolarismo. Berlusconi ha potuto tenere una linea seria e coerente perché nella sua coalizione c’erano anche stravaganze e contaminazioni inguardabili (si pensi alle solidarietà con Milosevic o agli affari con Saddam), ma non davano luogo a caratterizzazione politica. Ha dovuto fare i conti con le resistenze in altri settori, come le liberalizzazioni, il fisco, la spesa pubblica, dove i risultati, difatti, sono deludenti o negativi, ma non ha trovato vincoli ideologici in politica estera. Prodi, al contrario, è a capo di una coalizione dove si trovano atlantisti ed europeisti, ma anche terzomondisti, pacifisti senza testa, movimentisti, e questi estremisti dell’irragionevolezza hanno un ruolo preponderante. L’interazione fra un Fausto Bertinotti presidente della Camera e un Gino Strada diplomatico dei movimenti conduce l’Italia fuori dall’occidente. E non conta nulla che queste siano forze di minoranza (lo sono?) perché danno inequivocabilmente il segno ed il senso della politica governativa.

Essere costretti a governare tutti assieme, perché solo stando tutti assieme si possono vincere le elezioni bipolari, conduce la sinistra a praticare la peggiore politica estera che l’Italia abbia avuto. Ma questo non è un destino inevitabile, perché quando D’Alema andò al governo rompendo proprio con quella sinistra e con Prodi il risultato fu opposto, e positivo. Ecco il punto: praticando questo bipolarismo la sinistra marcia all’indietro, torna ai suoi incubi, cancella i passi in avanti, e si ritrova al fianco dei macellai talebani e dei terroristi islamici, contro l’interesse non solo nazionale, ma anche contro quello degli afgani, degli iracheni, dei palestinesi, degli iraniani. La regressione ci porta ad essere interlocutori delle parti peggiori di quel mondo, lasciando per strada l’impegno di Abu Abas, la lotta degli studenti iraniani, la liberazione delle donne afgane. Un delirio regressivo che cerca di far convivere l’inconciliabile lasciando i nostri militari in zone di guerra, ma negando l’esistenza stessa della guerra.

La sinistra che voglia essere capace di governo avrebbe tutto l’interesse a rompere questo schema, a rivendicare il valore della propria evoluzione, mentre invece si lascia prevalere il desiderio di non cadere, di non misurarsi, di non contarsi, nel timore che questo ponga le premesse di una sconfitta elettorale. Già, ma le sconfitte elettorali si rimediano, mentre quelle politiche e culturali portano un’intera classe dirigente a dover essere cancellata. E’ nell’interesse dell’Italia che ancora ci sia qualcuno, a sinistra, capace di capirlo.

www.davidegiacalone.it

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