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Il mondo visto attraverso la demografia

Giappone, un po’ d’Italia in Oriente

Il paese del Sol Levante ha i nostri problemi: invecchiamento e scarsità di manodopera

di Antonio Gesualdi - 21 febbraio 2006

Dagli anni quaranta i giapponesi sfornano indagini per capire perché si sposano sempre più tardi. Naturalmente sono state percorse tutte le ipotesi possibili, anche quelle che vanno di moda oggi in Italia: la tradizione, le questioni economiche, la difficoltà di trovare casa, eccetera, eccetera.

Quasi tutte le inchieste, però, hanno ad alte percentuali la dichiarazione che non ci si sposa perché non si è ancora incontrato il partner con "la personalità" adatta. Il 95,2% degli uomini e il 97,8% delle donne - anche in Giappone - non ne vuol sapere di pensare di passare tutta la vita con qualcuno ritenuto inadeguato alle proprie esigenze affettive. Insomma la questione del matrimonio, anche per i giapponesi, come è per gli italiani anche se facciamo finta che non lo sia, è una questione d"amore non di denaro o di incentivi pubblici. Una società sempre più individualizzata tende a costruire anche le relazioni affettive sulla soddisfazione individuale e non sulle necessità sociali e di specie. Meno amore tra maschi e femmine, dunque, e meno figli.

Il Giappone sta invecchiando, come tutti i paesi del mondo, ed ha penuria di giovani generazioni e quindi anche di manodopera. Nel periodo 1990-2000 le persone in età da lavoro (15-64 anni) – secondo dati previsionali recenti – sono aumentate soltanto del 3,6%. Entro il 2010 diminuiranno del 6,1% e al 2020 saranno diminuite del 9,1%. E non si intravede nessuna compensazione dagli immigrati. I dati del Ministero del lavoro giapponese, infatti, sono ancora più preoccupanti e riguardano soprattutto il settore del lavoro non-qualificato. Le famose tre "k" (kiken - lavori pericolosi; kitanai - lavori nel settore delle vendite; kitsui - lavori particolarmente usuranti) danno un certo pensiero alle imprese anche perché il numero di immigrati e stranieri ha cominciato a stagnare già da qualche anno (da 3,3 a 3,9 milioni di persone) e vi sono anche cenni di regressione.

Insomma il Giappone oggi ha gli stessi problemi dell"Italia: invecchiamento della popolazione, abbassamento della mortalità e della natalità, innalzamento del livello di istruzione delle donne, scarsità di manodopera dovuta alla riduzione della popolazione attiva.

Strutturalmente il Giappone non è più quello degli anni sessanta e somiglia molto all"Italia con simile percentuale di popolazione anziana e di speranza di vita. Ma con la differenza che il Giappone oggi conta 128 milioni di abitanti (noi italiani siamo 56 milioni) e un reddito pro-capite di circa 34.000 dollari (il nostro reddito pro-capite è di circa 25.000), una vicinanza alla Cina che, paradossalmente, può risultare fruttuosa con la delocalizzazione soprattutto di imprese di piccole e medie dimensioni in particolare nella provincia del Liaoning, nella città di Dalian, che ha legami culturali antichi. Il rischio dell’“hollowing out” – lo svuotamento delle capacità produttive – tende sì a frenare la delocalizzazione, ma ha soprattutto stimolato politiche attive per sostenere la domanda estera di prodotti giapponesi. Inoltre si sono fatti investimenti per aumentare la quantità ed il contenuto tecnologico dei prodotti tanto che oggi è solo dal Giappone che si può attendere la messa a punto dei robot umanoidi.

Per il Giappone non è più tempo di Zen, ma di Kaizen. E per noi italiani?

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