Governo: la corsa al compromesso
Giù le mani dalla Biagi!
Lo spauracchio della filosofia “del poteva andare peggio” può colpire ancoradi Enrico Cisnetto - 30 luglio 2007
Di controriforma ne basta una. Nonostante le dichiarazioni bellicose contenute nel programma dell’Unione, il governo, nella bozza di riforma del welfare che ieri Prodi ha definito “inemendabile”, ha deciso di non smantellare la legge Biagi. E questo, per un istituto oggetto per anni di una feroce quanto odiosa battaglia ideologica, non può che rappresentare – come ha scritto Michele Tiraboschi sul Sole 24 Ore – una significativa ammissione della sua intrinseca validità, seppure tardiva.
Ma ecco che la sinistra massimalista ha subito scatenato l’ennesimo braccio di ferro, con quattro ministri e la Cgil che hanno alzato i decibel delle lamentele. Pericolose, perchè chiedono uno stravolgimento della Biagi, e del tutto ingiustificate, se si considera che le modifiche approntate dall’esecutivo riguardano parti marginali della legge 30. E tutte più o meno condivisibili. E’ positiva, per esempio, l’abolizione del job on call, se non altro perché si tratta di uno strumento poco utilizzato visto che subiva la “concorrenza” vincente del lavoro irregolare. Quanto all’apprendistato, fa ben sperare l’annuncio di standard nazionali, che serviranno a superare l’attuale frammentazione legislativa regionale – “localismo del welfare”, mutuato dal federalismo pasticcione – che, applicando regole diverse anche tra realtà a pochi chilometri di distanza, ha prodotto inaccettabili squilibri territoriali e creato un diffuso malcontento tra i lavoratori.
Per questo, appare incomprensibile la pretesa della Cgil di firmare solo alcune parti dell’accordo, attaccandosi al fatto che il limite a 36 mesi per i contratti a termine viene superato da un accordo che il lavoratore firma solo se assistito dal sindacato: francamente, un po’ poco per far saltare il tavolo. Certo, c’è chi, come Maurizio Sacconi, è comunque molto critico “da destra” sul protocollo, facendo notare che i contratti a termine torneranno ad essere più rigidi proprio mentre, per esempio, la Svezia vara gli accordi fixed-term-at-will che vanno nella direzione opposta a quella dell’esecutivo. E viene da aggiungere, avendo sostenuto in più occasioni che la Biagi dovesse essere completata da strumenti per il sostegno alla disoccupazione, che lo stanziamento di soli 700 milioni di euro per le indennità è ridicolo, specie se si parametra ai 10 miliardi (minimo) spesi per abbattere lo scalone previdenziale (che toccava non più di 100 mila persone). Ma bisogna ammettere che i “danni” sono limitati, per non dire inesistenti, se solo si pensa allo sforzo di questi anni dei massimalisti – cui è corrisposta la colpevole acquiescenza dei riformisti – nel far coincidere precarietà e legge Biagi. Prova ne sia l’opinione della Confindustria, consapevole che se la partita si chiudesse qui sarebbe davvero andata di lusso.
Eppure un rischio, e grosso, ancora c’è: quello che Prodi, nonostante la preannunciata rigidità che ieri ha fatto scatenare l’intero fronte comunista, decida di utilizzare le modifiche alla Biagi come merce di scambio per ottenere il sì definitivo a quella (pessima) riforma delle pensioni che viene ancora contestata “in Parlamento e nel Paese” dai massimalisti. E che, alla fine, l’ennesimo compromesso venga accettato da tutti in nome del “poteva andar peggio”. Ecco, se i riformisti alzassero bandiera bianca anche su questo, sarebbe davvero il segnale della resa. Definitiva.
Ma ecco che la sinistra massimalista ha subito scatenato l’ennesimo braccio di ferro, con quattro ministri e la Cgil che hanno alzato i decibel delle lamentele. Pericolose, perchè chiedono uno stravolgimento della Biagi, e del tutto ingiustificate, se si considera che le modifiche approntate dall’esecutivo riguardano parti marginali della legge 30. E tutte più o meno condivisibili. E’ positiva, per esempio, l’abolizione del job on call, se non altro perché si tratta di uno strumento poco utilizzato visto che subiva la “concorrenza” vincente del lavoro irregolare. Quanto all’apprendistato, fa ben sperare l’annuncio di standard nazionali, che serviranno a superare l’attuale frammentazione legislativa regionale – “localismo del welfare”, mutuato dal federalismo pasticcione – che, applicando regole diverse anche tra realtà a pochi chilometri di distanza, ha prodotto inaccettabili squilibri territoriali e creato un diffuso malcontento tra i lavoratori.
Per questo, appare incomprensibile la pretesa della Cgil di firmare solo alcune parti dell’accordo, attaccandosi al fatto che il limite a 36 mesi per i contratti a termine viene superato da un accordo che il lavoratore firma solo se assistito dal sindacato: francamente, un po’ poco per far saltare il tavolo. Certo, c’è chi, come Maurizio Sacconi, è comunque molto critico “da destra” sul protocollo, facendo notare che i contratti a termine torneranno ad essere più rigidi proprio mentre, per esempio, la Svezia vara gli accordi fixed-term-at-will che vanno nella direzione opposta a quella dell’esecutivo. E viene da aggiungere, avendo sostenuto in più occasioni che la Biagi dovesse essere completata da strumenti per il sostegno alla disoccupazione, che lo stanziamento di soli 700 milioni di euro per le indennità è ridicolo, specie se si parametra ai 10 miliardi (minimo) spesi per abbattere lo scalone previdenziale (che toccava non più di 100 mila persone). Ma bisogna ammettere che i “danni” sono limitati, per non dire inesistenti, se solo si pensa allo sforzo di questi anni dei massimalisti – cui è corrisposta la colpevole acquiescenza dei riformisti – nel far coincidere precarietà e legge Biagi. Prova ne sia l’opinione della Confindustria, consapevole che se la partita si chiudesse qui sarebbe davvero andata di lusso.
Eppure un rischio, e grosso, ancora c’è: quello che Prodi, nonostante la preannunciata rigidità che ieri ha fatto scatenare l’intero fronte comunista, decida di utilizzare le modifiche alla Biagi come merce di scambio per ottenere il sì definitivo a quella (pessima) riforma delle pensioni che viene ancora contestata “in Parlamento e nel Paese” dai massimalisti. E che, alla fine, l’ennesimo compromesso venga accettato da tutti in nome del “poteva andar peggio”. Ecco, se i riformisti alzassero bandiera bianca anche su questo, sarebbe davvero il segnale della resa. Definitiva.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.