Che senso ha l’interdizione per due mesi?
Geronzi e il tempismo dei giudici
Il Cicr torna a difendere l’italianità delle banche e la magistratura blocca Capitaliadi Davide Giacalone - 23 febbraio 2006
L’errore più grave è sempre lo stesso: leggere i provvedimenti giudiziari dopo avere indossato gli occhiali della propria convenienza, dei propri gusti, delle proprie convinzioni. Quale che sia il risultato della lettura, che metta di buono o cattivo umore, si è dato il proprio contributo all’imbarbarimento del diritto ed all’azzoppamento dell’Italia.
Inoltre, facciamo finta di non vedere che sulla nostra vita pubblica pendono alcune inchieste giudiziarie, a cominciare da quelle che hanno al centro le banche e gli intrecci di queste con la politica, a cominciare da quella che bordeggia Telecom Italia, senza mai entrare nel merito, che sono altrettante premesse di un imminente regolamento dei conti. L’impressione è che gli italiani, il prossimo 9 aprile, possono votare come pare a loro, tanto gli equilibri di potere verranno messi a punto dopo, in altra sede. E se anche queste fossero solo nubi che rumoreggiano all’orizzonte, senza mai scaricare il temporale, comunque avrebbero avuto un peso nel determinare i comportamenti di chi corre ai ripari. Per non vedere tutto questo occorre essere più che ciechi.
E veniamo al caso di Cesare Geronzi, che il giudice di Parma, competente sulle faccende Parmalat, ha deciso di interdire per due mesi. Colpiscono due cose: la prima è la distanza fra l’apertura dell’inchiesta e l’adozione del provvedimento, la seconda la durata dello stesso. Se il pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento delle prove fosse stato effettivo, tutto ciò sarebbe avvenuto nell’imminenza dell’inchiesta o subito dopo la sua deflagrazione. Nella cultura giuridica italiana si fa fatica a comprendere che, passato il momento caldo delle indagini, l’unico sistema per impedire l’inquinamento delle prove è portare tutti davanti ad un giudice, per il processo. Prima lo si fa, più le prove saranno fresche e credibili (se ci sono). Aspettare mesi e mesi, nel corso dei quali i termini dell’inchiesta sono pubblicati da tutti i giornali, per poi imporre l’interdizione di due mesi, che senso ha? Trascorsi i due mesi, sarà, per caso, concluso il processo? E’ già un miracolo se nel corso dei due mesi sarà definita la questione di legittimità su tale provvedimento restrittivo.
Con singolare e sfortunatissima coincidenza temporale, mentre il giudice interdiceva Geronzi, il comitato per il credito ed il risparmio decideva di promuovere un atteggiamento non passivo nei confronti delle opa lanciare su banche italiane. In altre parole: Fazio tentò di difendere l’italianità delle banche seguendo la via torta di amici e sodali lanciati, senza averne i numeri, alla conquista di quel che altri europei intendevano acquistare, ora, invece, si intende ottenere un risultato simile, ma seguendo la via dritta della dichiarazione aperta e della modifica di quella legge che porta il nome dell’attuale governatore della Banca d’Italia. Ciò significa, quindi, che si favorirà quel processo di concentrazione bancaria che Fazio aveva prima avviato e, poi, per ragioni di personale potere, bloccato. Da ciò deriva, dunque, che Capitalia, come le altre banche, può essere protagonista od oggetto di una conquista, con cacciatori e prede già attivi nel mercato. Ecco, che in un simile frangente arrivi l’interdizione (per due mesi) è una cosa niente affatto normale, che l’orologio giudiziario sia regolato sui tempi del mercato più che su quelli dell’inchiesta non è affatto rassicurante.
Questo è quel che leggo, indossando gli occhiali di chi crede debba difendersi il ruolo insostituibile della giustizia, ma difendendolo anche dalle tentazioni di esercitarlo in modo troppo opinabile. Può darsi che mi sbagli, ma, almeno, avrò evitato l’involontaria comicità dell’avvocato Calvi, parlamentare dei ds e legale di Geronzi, il quale ci tiene a dire che lui non ha mai criticato la magistratura e non intende farlo, ma quel provvedimento è irragionevole, immotivato, frutto di accanimento accusatorio, stupefacente, ecc. ecc.
Inoltre, facciamo finta di non vedere che sulla nostra vita pubblica pendono alcune inchieste giudiziarie, a cominciare da quelle che hanno al centro le banche e gli intrecci di queste con la politica, a cominciare da quella che bordeggia Telecom Italia, senza mai entrare nel merito, che sono altrettante premesse di un imminente regolamento dei conti. L’impressione è che gli italiani, il prossimo 9 aprile, possono votare come pare a loro, tanto gli equilibri di potere verranno messi a punto dopo, in altra sede. E se anche queste fossero solo nubi che rumoreggiano all’orizzonte, senza mai scaricare il temporale, comunque avrebbero avuto un peso nel determinare i comportamenti di chi corre ai ripari. Per non vedere tutto questo occorre essere più che ciechi.
E veniamo al caso di Cesare Geronzi, che il giudice di Parma, competente sulle faccende Parmalat, ha deciso di interdire per due mesi. Colpiscono due cose: la prima è la distanza fra l’apertura dell’inchiesta e l’adozione del provvedimento, la seconda la durata dello stesso. Se il pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento delle prove fosse stato effettivo, tutto ciò sarebbe avvenuto nell’imminenza dell’inchiesta o subito dopo la sua deflagrazione. Nella cultura giuridica italiana si fa fatica a comprendere che, passato il momento caldo delle indagini, l’unico sistema per impedire l’inquinamento delle prove è portare tutti davanti ad un giudice, per il processo. Prima lo si fa, più le prove saranno fresche e credibili (se ci sono). Aspettare mesi e mesi, nel corso dei quali i termini dell’inchiesta sono pubblicati da tutti i giornali, per poi imporre l’interdizione di due mesi, che senso ha? Trascorsi i due mesi, sarà, per caso, concluso il processo? E’ già un miracolo se nel corso dei due mesi sarà definita la questione di legittimità su tale provvedimento restrittivo.
Con singolare e sfortunatissima coincidenza temporale, mentre il giudice interdiceva Geronzi, il comitato per il credito ed il risparmio decideva di promuovere un atteggiamento non passivo nei confronti delle opa lanciare su banche italiane. In altre parole: Fazio tentò di difendere l’italianità delle banche seguendo la via torta di amici e sodali lanciati, senza averne i numeri, alla conquista di quel che altri europei intendevano acquistare, ora, invece, si intende ottenere un risultato simile, ma seguendo la via dritta della dichiarazione aperta e della modifica di quella legge che porta il nome dell’attuale governatore della Banca d’Italia. Ciò significa, quindi, che si favorirà quel processo di concentrazione bancaria che Fazio aveva prima avviato e, poi, per ragioni di personale potere, bloccato. Da ciò deriva, dunque, che Capitalia, come le altre banche, può essere protagonista od oggetto di una conquista, con cacciatori e prede già attivi nel mercato. Ecco, che in un simile frangente arrivi l’interdizione (per due mesi) è una cosa niente affatto normale, che l’orologio giudiziario sia regolato sui tempi del mercato più che su quelli dell’inchiesta non è affatto rassicurante.
Questo è quel che leggo, indossando gli occhiali di chi crede debba difendersi il ruolo insostituibile della giustizia, ma difendendolo anche dalle tentazioni di esercitarlo in modo troppo opinabile. Può darsi che mi sbagli, ma, almeno, avrò evitato l’involontaria comicità dell’avvocato Calvi, parlamentare dei ds e legale di Geronzi, il quale ci tiene a dire che lui non ha mai criticato la magistratura e non intende farlo, ma quel provvedimento è irragionevole, immotivato, frutto di accanimento accusatorio, stupefacente, ecc. ecc.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.