Wi-Max, Fondazione Rai, riforma tv
Gentiloni, continua così
Un buon voto in Comunicazioni al governo. Tutto merito di un ministro low profiledi Enrico Cisnetto - 19 gennaio 2007
Sulla pagella del governo Prodi, dove prevalgono le brutte insufficienze, spicca il buon voto in Comunicazioni. Merito di Paolo Gentiloni, ministro low profile ma concreto in mezzo a tanti chiacchieroni e pasticcioni. Questo star lontano dai riflettori gli ha consentito di lavorare dietro le quinte senza troppe pressioni, tirando fuori dal cappello una serie di decisioni e proposte davvero lodevoli. Ed è giusto, in attesa dei risultati finali, cominciare a riconoscergliene il merito.
La cosa più importante che ha fatto è lo sblocco del Wi-max, il più avanzato sistema di trasmissioni a banda larga senza fili. In Italia il lancio di questa infrastruttura immateriale, decisiva per la modernizzazione delle nostre telecomunicazioni, era fermo da quasi dieci anni, perché non si trovava l’accordo con il ministero della Difesa sul prezzo da pagare per le frequenze da liberare, finora di uso militare. Il Wi-max permetterà la diffusione di internet veloce anche in quegli 8mila comuni del Paese che oggi ne sono esclusi, contribuendo a colmare un digital divide che vede oggi l’Italia al 19esimo posto della classifica della banda larga, con una percentuale di utenti connessi del 13,4%, rispetto al 16% della media Ue. In più, la nuova tecnologia può rendere obsoleto l’odierno modello di trasmissione dei cellulari – che richiede un elevato numero di ripetitori – perché permetterà ai dispositivi di comunicare attraverso una rete libera da infrastrutture, portando così con sé un nuovo modello di business. Che supera in potenza l’Umts e le tecnologie affini (come l’Hsdpa), costate alle compagnie telefoniche italiane nel 2000 qualcosa come 14 miliardi di euro. Ovviamente, chi oggi pretende la salvaguardia di quell’investimento deve fare i conti con le necessità del Paese, che ha bisogno di modernizzarsi velocemente, e con se stesso: all’epoca dell’asta delle licenze Umts scrissi più volte che il prezzo, per un sistema “nato vecchio”, era del tutto assurdo, me le compagnie telefoniche, ubriache di profitti, non vollero sentire ragioni, mentre al governo interessò soltanto “fare cassa”, causando in questo modo anche il fallimento di Blu che si era indebitata fino all’osso per pagarsi le licenze. La politica non seppe tirar fuori uno straccio di piano capace di guardare al futuro – e a sua unica discolpa c’è da dire che tutta l’Europa sbagliò clamorosamente – mentre ora il Wi-max fa intravedere un minimo di progettualità. Tuttavia, la verifica decisiva sulle buone intenzioni del governo ci sarà in estate, quando partiranno le aste per le frequenze: dai criteri di selezione capiremo se il voto alto Gentiloni se lo è davvero meritato.
Ma anche la proposta di riforma della Rai del ministro della Margherita contiene elementi di novità apprezzabili. Non solo nell’idea della Fondazione, ma per il fatto che i suoi consiglieri verranno nominati dal parlamento con la maggioranza dei due terzi, sul modello della Corte Costituzionale. Un metodo che ha un doppio pregio: sottrarre l’azienda dal controllo del governo e costringere i parlamentari a scelte largamente condivise. Certo, il rischio è quello di trovarsi con tempi biblici per le nomine, ma se questo servirà a ridurre il tasso di “lottizzazione de-meritocratica” di questi anni, varrà la pena correrlo. In più, l’idea delle tre grandi società operative porta con sé la separazione proprietaria della rete, e dunque una gestione più snella e, magari, la quotazione in Borsa di un asset strategico e dai sicuri profitti.
Il ddl di riordino del sistema legislativo radiotelevisivo, poi, sembra pensato apposta per deludere sia i seguaci del berlusconismo che quelli dell’antiberlusconismo. Infatti, da un lato, introduce il limite del 45% nella raccolta pubblicitaria televisiva nazionale, che per Mediaset è una bella fregatura visto che la Gasparri prevedeva sì il 20%, ma di una torta assai più grande (il famoso Sic). Mentre dall’altro, regala altri 15 mesi di tempo (dal giorno del varo della legge) a Rete4 per il suo trasferimento sul satellite e sposta al 2012 la data dello switch off dall’analogico al digitale dell’intero sistema tv, e quindi anche di Mediaset, che è un buon guadagno di tempo.
Naturalmente, qualcosa da limare c’è. Ma in un settore politicamente scottante e con enormi interessi in gioco come quello delle comunicazioni, la perfetta quadratura del cerchio non esiste. A Gentiloni, dunque, non si può dire altro che “continua così, la promozione è assicurata”.
Pubblicato sul Foglio del 19 gennaio 2007
La cosa più importante che ha fatto è lo sblocco del Wi-max, il più avanzato sistema di trasmissioni a banda larga senza fili. In Italia il lancio di questa infrastruttura immateriale, decisiva per la modernizzazione delle nostre telecomunicazioni, era fermo da quasi dieci anni, perché non si trovava l’accordo con il ministero della Difesa sul prezzo da pagare per le frequenze da liberare, finora di uso militare. Il Wi-max permetterà la diffusione di internet veloce anche in quegli 8mila comuni del Paese che oggi ne sono esclusi, contribuendo a colmare un digital divide che vede oggi l’Italia al 19esimo posto della classifica della banda larga, con una percentuale di utenti connessi del 13,4%, rispetto al 16% della media Ue. In più, la nuova tecnologia può rendere obsoleto l’odierno modello di trasmissione dei cellulari – che richiede un elevato numero di ripetitori – perché permetterà ai dispositivi di comunicare attraverso una rete libera da infrastrutture, portando così con sé un nuovo modello di business. Che supera in potenza l’Umts e le tecnologie affini (come l’Hsdpa), costate alle compagnie telefoniche italiane nel 2000 qualcosa come 14 miliardi di euro. Ovviamente, chi oggi pretende la salvaguardia di quell’investimento deve fare i conti con le necessità del Paese, che ha bisogno di modernizzarsi velocemente, e con se stesso: all’epoca dell’asta delle licenze Umts scrissi più volte che il prezzo, per un sistema “nato vecchio”, era del tutto assurdo, me le compagnie telefoniche, ubriache di profitti, non vollero sentire ragioni, mentre al governo interessò soltanto “fare cassa”, causando in questo modo anche il fallimento di Blu che si era indebitata fino all’osso per pagarsi le licenze. La politica non seppe tirar fuori uno straccio di piano capace di guardare al futuro – e a sua unica discolpa c’è da dire che tutta l’Europa sbagliò clamorosamente – mentre ora il Wi-max fa intravedere un minimo di progettualità. Tuttavia, la verifica decisiva sulle buone intenzioni del governo ci sarà in estate, quando partiranno le aste per le frequenze: dai criteri di selezione capiremo se il voto alto Gentiloni se lo è davvero meritato.
Ma anche la proposta di riforma della Rai del ministro della Margherita contiene elementi di novità apprezzabili. Non solo nell’idea della Fondazione, ma per il fatto che i suoi consiglieri verranno nominati dal parlamento con la maggioranza dei due terzi, sul modello della Corte Costituzionale. Un metodo che ha un doppio pregio: sottrarre l’azienda dal controllo del governo e costringere i parlamentari a scelte largamente condivise. Certo, il rischio è quello di trovarsi con tempi biblici per le nomine, ma se questo servirà a ridurre il tasso di “lottizzazione de-meritocratica” di questi anni, varrà la pena correrlo. In più, l’idea delle tre grandi società operative porta con sé la separazione proprietaria della rete, e dunque una gestione più snella e, magari, la quotazione in Borsa di un asset strategico e dai sicuri profitti.
Il ddl di riordino del sistema legislativo radiotelevisivo, poi, sembra pensato apposta per deludere sia i seguaci del berlusconismo che quelli dell’antiberlusconismo. Infatti, da un lato, introduce il limite del 45% nella raccolta pubblicitaria televisiva nazionale, che per Mediaset è una bella fregatura visto che la Gasparri prevedeva sì il 20%, ma di una torta assai più grande (il famoso Sic). Mentre dall’altro, regala altri 15 mesi di tempo (dal giorno del varo della legge) a Rete4 per il suo trasferimento sul satellite e sposta al 2012 la data dello switch off dall’analogico al digitale dell’intero sistema tv, e quindi anche di Mediaset, che è un buon guadagno di tempo.
Naturalmente, qualcosa da limare c’è. Ma in un settore politicamente scottante e con enormi interessi in gioco come quello delle comunicazioni, la perfetta quadratura del cerchio non esiste. A Gentiloni, dunque, non si può dire altro che “continua così, la promozione è assicurata”.
Pubblicato sul Foglio del 19 gennaio 2007
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.