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Neanche i centri studi possono fare chiarezza

Fuori o dentro il tunnel?

Nessuno sa quanto dureranno le turbolenze del capitalismo globale

di Elio Di Caprio - 05 maggio 2009

Una Fiat non fa primavera nel fosco quadro che si va delineando per l’anno in corso con una caduta del PIL di oltre il 4% in tutti i Paesi europei, compresa l’Italia. La ripresa è rimandata all’anno prossimo, non più al secondo semestre di quest’anno, le informazioni vengono continuamente aggiornate impedendo una seria previsione che vada oltre il trimestre.

Si susseguono forum a ripetizione per indagare e per capire le cause del crash dell’economia, il ruolo dei banchieri, i confronti con il ’29, il mondo post-crisi. Ma la domanda più pressante, in attesa di risposta, è sapere se siamo fuori dal tunnel – è un problema che non riguarda solo l’Italia - o dentro al tunnel prima di riemergere e per quanto tempo ancora durerà la crisi economica senza subire nel percorso una trasformazione genetica in non si sa che cosa.

Si direbbe che non c’è capitalismo senza incertezze e con il ragionamento si può arrivare a ben poco. Ma intanto qualche conseguenza c’è stata. Sappiamo tutti, ed è già qualcosa, che gli USA andranno in cinquecento (pulita?), che l’accordo Fiat Crysler è più conseguenza di una decisione politica di Obama che non del libero mercato e della concorrenza, che sono pur sempre i grandi gruppi industriali a poter concentrare ingenti risorse per la ricerca e l’innovazione come fa da anni la Fiat di Marchionne, pur sottoposta negli ultimi tempi a stress finanziari continui.

Siamo pieni di stimoli informativi, basta andarli a scovarle nei più reconditi siti internet di tutto il mondo, eppure qualcosa sfugge. Le informazioni servono sempre per sapere o per decidere, ma quello che è profondamente cambiato negli ultimi dieci anni è il loro numero e la loro natura, sempre mutevoli e per giunta manipolabili. Essere ottimisti o essere pessimisti e in base a che? Nessun forum di discussione ci aiuta. Nella crisi attuale c’è sempre un tassello mancante che nessun economista riuscirà a scoprire, dando così solo l’illusione ottica di una democrazia informativa, la massima possibile, che però è poco utilizzabile per decisioni e previsioni.

È forse questa nuova dimensione che imbarazza e rende incerti i governi che devono dare messaggi di stabilità : ora sono costretti essi stessi ad inseguire il contingente dei comportamenti individuali e a condizionarli per non esserne condizionati. L’elemento fiducia è diventato tanto importante quanto impalpabile e fluttuante, così labile da impedire una previsione che abbia qualche fondamento che vada oltre il periodo massimo di tre mesi.

La vera domanda in attesa di risposta è se siamo entrati o meno in un periodo di turbolenza continua del capitalismo globale, di aggiustamenti via via provvisori di un percorso che diventerà comunque sempre più accidentato.
Il tema pragmatico di capire come il capitalismo si sia trasformato negli ultimi anni e perché non ci aiuta a prevedere il futuro. Ammesso che le trasformazioni in atto preludano a cambiamenti sociali e culturali, difficilmente ne verrà fuori una nuova ideologia o una conferma delle vecchie.

Il “pensiero” del libero mercato è unico proprio perché non ha bisogno di ideologie, al massimo consuma idee e previsioni. Dal “comunismo in un solo Paese” della Russia di Stalin siamo passati all’odierno “capitalismo in tutti i Paesi”, con l’ultima entrata nella “hit parade” del colosso cinese. Poteva non determinarsi una svolta epocale che tutti sapevano esserci senza che nessuno ne ha saputo o potuto calcolare le conseguenze? Non è stata la sola Regina Elisabetta d’Inghilterra a sorprendersi degli avvenimenti . Tutto è cambiato e nulla è cambiato.

Non è certo cambiata la logica capitalista in sé che è andata oltre il libero mercato per avvitarsi in una spirale di finanza libera, esasperata e senza controllo, una logica che continua a produrre insieme da più di due secoli ricchezza e disuguaglianze, innovazioni e monopoli. E’ un sistema diventato “naturale” e universale anche per chi vi si è opposto per decenni, ha perso per strada lo “spirito religioso” dei suoi esordi, se mai lo ha avuto, è rimasto semplicemente un’organizzazione (presuntamene ) razionale, l’unica possibile, degli interessi materiali di milioni di individui.

La sua carta vincente è stata e resterà quella di sapere innovare ed alimentare insieme una catena sempre più vasta di consumatori- basta vedere quello che succede nell’industria delle automobili- necessari alla sua stessa sopravvivenza, può anche doppiare la saturazione dei mercati creando nuovi bisogni, ma ha trovato un limite imprevisto (?) quando ha generato un consumismo finanziario a fine a se stesso, incapace esso stesso di creare nuova ricchezza. E’ quello che è accaduto. E’ qui che è venuto fuori il nesso diventato inscindibile negli ultimi anni tra economia finanziaria ed economia reale, diventate due facce della stessa medaglia.

Per questo fa così fatica ad andare avanti una proposta di regolazione globale dei mercati finanziari come bacchetta magica che rimette le cose a posto come prima. Non è l’ideologia liberista ad aver consentito tale inestricabile connessione – il capitalismo in sé non ha mai avuto bisogno di una sua specifica ideologia come i suoi avversari - quanto una cultura comune, accettata da tutti, che fa della corsa alla ricchezza nei tempi più brevi possibili l’imperativo assoluto...

E’ una devianza globale insostenibile socialmente a livello planetario e/o nazionale? Se è così, ce ne accorgeremo troppo tardi e in corso d’opera. Per ora non sappiamo nulla su come la crisi andrà a finire, se uscire dal tunnel vuol dire solo infilarsi prima o poi in un altro, in una crescente atmosfera di instabilità.

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