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Il verdetto del Fondo Monetario Internazione

Frena la crescita ed aumentano le tasse

Soltanto il taglio della spesa pubblica potrà graziare l’Italia e favorirne la crescita

di Davide Giacalone - 18 ottobre 2007

Il Fondo Monetario Internazione mette nel conto una frenata della crescita mondiale, nell’ordine di un meno 0,4%, che per le economie avanzate, però, è solo un meno 0,1. Fra i Paesi industrializzati l’Italia è quello che cresce di meno (1,3%), con una frenata del meno 0,4. Tutto questo significa che l’Italia perde progressivamente quote di mercato internazionale ed accresce la distanza della sua produttività. Nelle stesse ore l’Ocse rende noti i dati comparati relativi alla crescita della pressione fiscale, che fa segnare uno 0,1 nell’Unione Europea, ma diventa più 1,7 in Italia. Morale: siamo quelli che crescono di meno, ma pagano sempre più tasse, o, detto in modo diverso, vediamo crescere la nostra ricchezza meno di tutti gli altri, ma ne destiniamo fette sempre più consistenti (siamo arrivati al 42,7) alla spesa pubblica.

Come abbiamo altre volte sottolineato, la finalità redistributiva, di soccorso ai più poveri e bisognosi, del prelievo fiscale e della spesa pubblica fa abbondantemente cilecca. In realtà finanziamo rendite di posizione che non si traducono in benefici per i cittadini, mentre lo svantaggio dei più deboli aumenta. Intanto, come ci segnalano tutte le autorità internazionali e come sanno tutti quelli cui l’aritmetica non ha voltato le spalle, resta inattaccato il debito pubblico, sentendoci soddisfatti del far crescere meno il deficit. Ciò significa che una parte scandalosamente alta della nostra ricchezza è impiegata al solo scopo di mantenere il debito, che toccherà alle generazioni future pagare. Le più pessimistiche previsioni di Ugo La Malfa si avverano, ma la cosa non sembra interessare nessuno, dato che i più sono impegnati a trattare con corporazioni che quel debito vogliono allargare. Se fosse solo un problema di schieramenti politici, non resterebbe che mandare a casa i cattivi e gli sperperatori, per chiamare al governo i buoni ed i risanatori. Solo che la distinzione non è poi così netta ed il partito unico della spesa pubblica ha forti radici da una parte e dall’altra.

Per questo, ove la saggezza politica fosse imposta almeno dalla necessità, occorrerebbe trovare una tregua politica ed istituzionale, in modo da mettere mano ai problemi veri e seri di un Paese che decellera ed arretra. Quando i sintomi della crisi si faranno più immediatamente percettibili la Lega secessionista sembrerà un movimento moderato ed il turpiloquio di Grillo l’esercizio di un fine dicitore. Ma ogni tregua, ogni dialogo, sarà inutile e fuorviante se non si partirà dall’assunto che non è il prelievo fiscale a dovere inseguire le necessità di cassa, ma il taglio della spesa pubblica a dover propiziare una drastica diminuzione delle tasse.

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